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La donna alla finestra: Joe Wright chiama Hitchcock ma…lo spettatore si coinvolge a metà

Il thriller psicologico tratto dall’omonimo best-seller, disponibile su Netflix, non riesce a bucare lo schermo. Ma la bellezza del cinema sta anche nella sua capacità di suscitare dibattito e critica

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Noemi Riccitelli Tra le novità Netflix dell’ultima settimana c’è La donna alla finestra (The Woman in the Window), tratto dall’omonimo romanzo best-seller di A.J. Finn, pseudonimo dello scrittore americano Daniel Mallory.
Si tratta di un thriller psicologico diretto dal famoso regista britannico Joe Wright e un cast di attori internazionali di notevole livello, tra cui Amy Adams, Gary Oldman e Julianne Moore.

La sceneggiatura (curata dal drammaturgo Premio Pulitzer Tracy Letts) racconta la storia di Anna (Amy Adams), una psicologa infantile affetta da agorafobia a seguito di un terribile incidente che ha coinvolto anche suo marito Ed (Anthony Mackie) e la loro figlia.
Questa condizione ha fatto sì che Anna si lasciasse andare all’abuso di farmaci e alcol, così, reclusa in casa, l’unico sbocco per lei sulla realtà circostante sono la finestra della grande casa in cui vive, i dialoghi con il suo terapista (interpretato dallo stesso sceneggiatore Letts) e il giovane cui Anna ha affittato il seminterrato della casa, David (Wyatt Russell).
Ed è proprio guardando fuori dalla sua finestra che, un giorno, Anna nota il trasferimento di una nuova famiglia nel vicinato: i Russell, che destano subito la sua attenzione.
Infatti, padre e figlio, Alistair (Gary Oldman) e Ethan (Fred Hechinger) appaiono particolarmente afflitti ed equivoci, ma è la signora Russell, Jane (Julianne Moore/Jennifer Jason Leigh), colei che darà impronta a tutta la vicenda, coinvolgendo direttamente anche Anna.

Gli spettatori cinefili noteranno i riferimenti all’intramontabile La finestra sul cortile (Rear Window) di Alfred Hitchcock e altri classici del genere, di cui la stessa protagonista è appassionata, cui si dedica nelle sue serate in solitaria davanti la TV.
Tuttavia, l’intreccio della trama, sebbene susciti inizialmente curiosità, a differenza di altri film di questo filone, non riesce ad attirare completamente lo spettatore nel turbine degli eventi, innestando dubbi, teorie, sospetti, nonostante una colonna sonora ad alta tensione (curata da Danny Elfman) e da un montaggio (dell’italiano Valerio Bonelli) che arricchisce le azioni, i colpi di scena di una regia tra il frenetico e il riflessivo.
Il cast, che riunisce tra i migliori interpreti della scena cinematografica, non dà vigore ai personaggi protagonisti, il cui impatto risulta poco incisivo, effettivamente trascurati dalla sceneggiatura; ad emergere è sicuramente la protagonista, di cui Amy Adams cura i tratti principali senza sforzo, con il naturale talento che la contraddistingue.

Nel complesso, il film pur presentandosi tecnicamente vincente e appetibile, anche perché tratto da un successo editoriale, non possiede la brillantezza e la giusta suspense di un thriller; tuttavia, l’occhio dello spettatore non è sempre univoco, il cinema, come altre forme d’arte, è anche dibattito, critica, per cui la visione rimane pur sempre consigliata per un vivace scambio di opinioni.

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