Noemi Riccitelli – Il cattivo poeta, primo lungometraggio di Gianluca Jodice, che ne ha curato anche soggetto e sceneggiatura, prodotto da Matteo Rovere e Andrea Paris in collaborazione con Rai Cinema, Ascent Film e Bathysphere Productions, è uno dei primi film italiani ad uscire in sala a partire dal 20 maggio, dopo essere stato rinviato per la chiusura dei cinema causa Covid.
“Abbiamo tutti bisogno di un balcone dal quale recitare la parte dei protagonisti. La differenza è che ci sono buoni attori e cattivi attori. E agli italiani piacciono soltanto le cattive rappresentazioni”: la battuta “clou” del film, tra le tante provocatorie e caustiche che costellano la sceneggiatura.
Cattivo è definito, dal titolo, Gabriele D’Annunzio, perché non (più) allineato con le iniziative del governo fascista di cui era stato sostenitore; cattivo perché contravveniva alla (falsa) morale pudica del tempo per i suoi non celati vizi; cattivo perché le sue parole erano schiette, tranchant.
Ma chi sono i buoni e i cattivi in questo film?
La pellicola racconta gli ultimi anni della vita del celebre poeta (interpretato da Sergio Castellitto), quando la sua esistenza era ormai concentrata tutta nel dorato e unico mondo del Vittoriale degli Italiani, la dimora (oggi museo) in cui ha raccolto memorie, cimeli e capricci.
La sua vicenda, tuttavia, si intreccia con quella del giovane Giovanni Comini (Francesco Patanè), federale bresciano cui il segretario del Partito Fascista Achille Starace (Fausto Russo Alesi) affida il delicato compito di sorvegliare D’Annunzio, addentrandosi nella sua intimità e nelle sue confidenze, riportando eventuali passi falsi del “vate” nei confronti del regime, vista l’aperta ostilità del poeta riguardo l’imminente alleanza con la Germania nazista.
Divisa per capitoli che ne segnano lo svolgimento, la vicenda va oltre il racconto biografico, perché se è vero che il protagonista è D’Annunzio, il poeta non è sempre presente sulla scena, lasciando spesso spazio agli altri personaggi che gli ruotano intorno.
In primis il giovane federale Comini che, se inizialmente accetta il compito affidatogli solo per obbedienza, più che per reale convinzione nell’utilità dell’azione di spionaggio nei confronti del poeta, poi sviluppa un progressivo interesse in quell’uomo dalle mille inclinazioni.
Comini si avvia, così, a un complesso esame di coscienza che si riflette in D’Annunzio, rivalutando ideali e azioni cui si era mostrato cieco e che intaccano tragicamente anche la sua vita personale.
Un film storico a tutti gli effetti (con consulenza dello studioso Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale degli Italiani), in cui di romanzato c’è ben poco: le battute pronunciate dal camaleontico Sergio Castellitto/D’Annunzio sono tratte da discorsi ufficiali tenuti realmente dal poeta abruzzese, che l’attore romano interpreta con vividezza e decisione; parimenti, Francesco Patanè riesce con intensità a dare vita ai sentimenti contrastanti che avvolgono l’ingenuo federale, così come il resto del cast che, con performance appassionanti, rievocano le figure che hanno circondato Gabriele D’Annunzio condividendone lo stile di vita e i valori.
Elena Bucci e Clotilde Courau interpretano, rispettivamente, Luisa Baccara, celebre pianista e amante del poeta, e Amélie Mazoyer, governante del Vittoriale, le due donne che sono rimaste accanto a D’Annunzio fino alla fine, di cui le due attrici restituiscono il pathos e la devozione che le univa al poeta.
La scenografia (di Tonino Zera) e la fotografia (di Daniele Ciprì) si esaltano a vicenda: a colpire è la magnificenza, l’estro della location principale, il Vittoriale, che si staglia sul lago di Garda, attirando a sé l’occhio dello spettatore e, probabilmente, degna concorrente di tutti gli attori in scena.
La cifra stilistica del film resta la sceneggiatura, che contribuisce a connotare e, per certi versi, a far rivalutare una figura della storia e della letteratura italiana da sempre discussa, amata e odiata, e a cui nulla importava di ciò.