Uoh è tempo per noi di andare via / Un respiro d’aria nuova
Chiudo gli occhi e sento di già / Che la stagione mia si innova
Un soffio caldo che va / Un sogno caldo che va…Sotto un cielo d’aria nuova / Apro gli occhi e sento di già
Sento pace nell’aurora / Un soffio caldo di libertà
Un sogno caldo, libertà / Uoh, la libertà
Marian Richero
di Concetta Riccio
Sentirsi in trappola
“Io sono qui per provare, non so se voglio iniziare un percorso”, con queste parole si presenta a me Claudia, 28 anni. Le chiedo il motivo del suo appuntamento e mi risponde che si sente in trappola, che la sua vita non è la sua. Inizia così il singolare racconto di questa giovane donna. Claudia è iscritta alla facoltà di giurisprudenza, la sua famiglia viene da una tradizione in tal senso, suo nonno, suo padre e infine anche sua sorella ha intrapreso questa carriera.
Claudia arranca tra gli esami, con un senso di nausea ogni volta più forte, la sua via di fuga è la danza, attività segreta per la quale spende molto del suo tempo e in cui investe anche economicamente. Le chiedo se è questa la sua vera passione, il colloquio diventa sempre più interessante: “no, la danza non mi soddisfa, non è un’attività che può farmi sentire realizzata”.
Iniziamo a parlare della sua famiglia, per valutare insieme quanto abbia potuto condizionare queste sue scelte, in realtà mi riferisce che ha sempre scelto lei, non sa perché ha optato per cose che non riteneva adatte a lei ma nessuno in famiglia l’ha indirizzata in tal senso, ora però si sente in trappola. Molto potrebbe dirci la psicologia transgenerazionale a riguardo e spiegarci l’esistenza di questi condizionamenti invisibili, ma anche restando su un piano sociale possiamo avere delle risposte: quanto può essere difficile credere di essere i primi, in una famiglia, a dover creare un punto di rottura? L’anello diverso che deve interrompere una catena per salvaguardare se stesso?
Qualcosa non mi convince, “Claudia, perché sei qui? “ lei capisce al volo che il mio non è un dejavu, “da due anni ho una relazione con un uomo sposato, ho paura di perderlo, è questo il mio tormento maggiore, sono qui per lui non per me. L’ho presentato anche alla mia famiglia, mentendo sul suo status”.
Ancora una volta la trappola riguarda le vite degli altri, le vite dei suoi familiari, che forse pensa di ferire affermandosi come “diversa”, la vita dell’uomo che dice di amare, che non le appartiene e che lui non intende cambiare. In tutte queste vite Claudia sembra perdersi e non trovare più la sua.
Claudia dopo oltre cinquanta minuti di colloquio decide di iniziare la psicoterapia.
L’incantesimo si è rotto
Dopo circa un mese, Claudia mi chiede un colloquio urgente. È appena al terzo incontro con il suo psicoterapeuta; non capisco la richiesta ma decido di accoglierla.
“Mi ha lasciata, sono stata malissimo, sono anche svenuta due volte. Nonostante tutto ho avuto una strana sensazione dentro di me, come se tutto si potesse sistemare. Ho parlato ai miei genitori, ho detto tutto dell’università e di lui, hanno pianto con me e mi hanno abbracciata forte”.
Queste parole racchiudono il punto di svolta, l’incantesimo che si rompe, i miti che cadono, o potremmo citare l’insight, il momento dell’illuminazione.
Non importa che sia stato un evento esterno a rompere l’incantesimo, accade spesso. Claudia con il suo percorso avrà modo di lavorare e capire perché si era creata tante piccole gabbie.
Otto mesi dopo, durante il periodo estivo, Claudia ha bussato di nuovo alla mia porta. Era un saluto veloce per dirmi le ultime novità: da sei mesi vive in Germania da alcuni parenti, li aiuta a gestire tre attività di ristorazione, ha già un fidanzato e aspetta un bambino.
“Ti piace questo lavoro?”. “Si, mi sento realizzata”.
“Claudia, questa vita com’è?” . “È la mia vita finalmente”.