L’introspezione è sempre retrospezione
Sartre
di Rosaria De Angelis
Quanto può essere duro per il paziente il “qui ed ora”. Quanto è importante per il terapeuta “trascinare”, a volte, il paziente in questo punto storico della sua vita.
Nello spartiacque tra il suo vissuto, il suo passato, i suoi errori e le sue gioie al suo punto di arrivo…il suo futuro. La sua progettualità di vita.
Quanto è importante, dicevo, per lui e non solo!
Portare Anastasia (nome di fantasia) nel suo “qui ed ora” equivaleva a metterla di fronte alle sue paure. Bisognava scendere nella sua intimità, arginare e confinare la modalità “blocco” che spesso faceva capolino nella sua esternazione.
Anastasia quando si presenta al Centro è una donna di quarantatré anni. È un’insegnante. È single per scelta “non sua”: espressione forte e pronunciata da lei.
Da un punto di vista professionale è soddisfatta. Obiettivo lavoro raggiunto.
Ma nonostante l’approvazione sociale della sua professionalità, scorgo in lei una profonda frustrazione: come se mi si fosse palesata e personificata di fronte nel momento in cui l’ho conosciuta.
Queste le mie sensazioni.
In realtà lei parlava d’altro… parlava di un uomo che dopo una relazione di nove anni, di fatto, non ha voluto più concretizzare la storia con un’unione stabile e decide di lasciarla. Così, dalla sera alla mattina. Lei non si è accorta di nulla. E grida al tradimento.
Cerca un’altra donna…che forse non esiste.
Quanto può essere duro accettare la realtà?
Quanto è stato duro per lei capire che lui non aveva nessuna altra donna: non voleva lei. Era diverso. Un rospo ancora più grande da mandare giù…e allora inizia a scavare nel passato di lui. Non poteva essere. Perché “quella sera…quella tizia…”
Ho visto spesso i pazienti andare alla ricerca di “mostri o fantasmi”.
Forse per alleviare il dolore?
Ad oggi quel rifiuto aveva scombinato tutta la sua vita. Non trovava da dove ripartire.
Anastasia, e se ripartissimo proprio dai tuoi vuoti, ma non per riempirli…ma per svuotarli per bene?
Il mio rimando a tutto era: liberati della zavorra.
Avevo una donna molto affascinante di fronte a me. Ben vestita. Molto curata nell’aspetto e nella persona. Controllata nei gesti e nel tono. E nel timbro e nella postura. Poco di donna e molto di sfinge.
Torniamo ad Anastasia e a quel momento…aveva, secondo me, qualcosa che non riusciva a lasciare andare. Spesse volte, questa difficoltà equivale allo sforzo di trattenere qualcosa che non si è mai posseduto. O perlomeno abbastanza.
Resisteva ad una spinta fisiologica del distacco. Più resisteva e più affogava.
Presa e coinvolta in una lotta interna che non “aveva tempo di altro”.
Sentivo un abbandono. Un silenzio assordante.
Un tempo che non sapeva come riempire: una volta aveva tutto incastrato. Incasellato. E ora no.
Mi si palesò l’idea che anche la ricerca di un terapeuta fosse legato in qualche modo al riempimento di quel vuoto.
Ero diventata un pezzo sparso nel suo mondo?
Aveva bisogno di testimoni: per gli altri, ma anche per se stessa.
Come di qualcuno che testimoniasse che davvero era in piena sofferenza e stava reagendo.
Mi raccontò della sua relazione con quest’uomo.
Era sicuramente esplosiva.
Anastasia non riusciva ad abbandonare il controllo di lui, del suo mondo, delle sue esplosioni delle quali era complice…
Anche il terapeuta, se arriva ad un grado di maturità, deve porsi delle domande.
E spesso le mie sensazioni le rimando serenamente…e così…
Anastasia, in che modo credi di esserti “collegata” oggi con me?
Mentre parlava ho percepito un piano diverso di realtà…non c’era lì con me…io l’attendevo, ma lei prendeva il volo…era distante…non era presente.
Il mio sunto rispetto a tutto questo mi ha portato a dei termini, che rimandavano a dei concetti: abbandono, solitudine, confusione, resa…
Anastasia, quanto sei presente a te stessa nella tua vita? Parliamone…
Credo mi sarà successo svariate volte che un paziente sia scoppiato in pianto ai primi incontri.
Il lavoro di terapia è un lavoro simultaneo per il paziente e per il terapeuta.
Analizzare in un breve lasso di tempo quanto quella cosa appartiene a lui o è parte di me… e la confusione non mi appartiene…ripartimmo da qui.
Anastasia ha rappresentato per me una paziente importante.
Era bello “viaggiare con lei”. Mi ha stimolato da un punto di vista professionale.
Aveva iniziato la terapia a causa di una serie di relazioni “fallite” e l’ultima le aveva dato il colpo di grazia.
Aveva scoperto, poi, che era andata soventemente alla ricerca di relazioni fallimentari.
Perché?
Perché doveva ogni volta “mettersi alla prova”. Cercare di aggiustare dei pezzi, che in realtà nulla avevano a che fare con il suo presente.
Ma con suo padre sì.
Un uomo pressoché assente nella sua vita.
Anastasia voleva “incastrare i pezzi”. Aggiustare era il suo desiderio…
Ogni volta che rimandavo ad Anastasia cosa stimolasse in me tale pensiero, lei si agitava e il suo disagio era molto evidente.
Non potevo sottrarre la mia percezione. Sarebbe stato curativo il “processo” mentale che la portava dal suo pensiero al mio: era attraversare un tempo. Fissarla nel “qui ed ora”. Insegnarle a leggere la realtà.
Mi contestava l’atemporalità… ma non era così. Era leggere la realtà.
Con Anastasia ho deciso di chiudere il percorso dopo circa cinque anni.
Nel frattempo, impegnata a lavorare su se stessa, ha accolto un amore, senza controllarlo… ha avuto una bambina nel nostro terzo anno di terapia…
Nomen omen. Nel nome della figlia parte del suo destino…