Noemi Riccitelli – Cinque nomination agli Oscar (Miglior film, Miglior attrice protagonista, Migliore sceneggiatura originale, Miglior regista, Miglior montaggio), di cui uno (quello per la Migliore sceneggiatura originale) vinto e più che meritato.
Una donna promettente (Promising young woman) è l’esordio alla regia di Emerald Fennell, qui regista e sceneggiatrice, ma anche attrice (uno dei suoi ruoli più noti è quello della giovane Camilla Parker Bowles nella serie Netflix The Crown): una storia così vivida e attuale da mettere a disagio, ma graffiante e spietata quanto basta per avere una visione onesta su una realtà malata.
Disponibile in sala dal 24 giugno, il film vede tra i suoi produttori anche l’attrice Margot Robbie con la casa di produzione da lei co-fondata (insieme a Tom Ackerley, Josey McNamara and Sophia Kerr), la LuckyChap Entertainment, il cui obiettivo è promuovere film e serie TV che raccontino storie di e sulle donne.
Cassandra, per tutti “Cassie” (Carey Mulligan) è una giovane trentenne bella e brillante, tuttavia, la sua vita è stata sconvolta da un evento che ha segnato intimamente la sua esistenza e quella della sua più cara amica.
Da quell’episodio, Cassie decide di abbandonare gli studi e di dedicarsi a una particolare missione: ogni settimana si reca in un locale e si finge ubriaca, così da attirare l’attenzione di uomini diversi che, puntualmente, con il pretesto di aiutarla, tentano un approccio con lei.
Ma Cassie è più che vigile e nel momento in cui si svela sobria, impartisce una dura lezione a questi cosiddetti “bravi ragazzi”.
Un giorno, l’incontro casuale con Ryan (Bo Burnham), ex collega universitario, fa sì che il dolore mai sopito per la vicenda del passato, la animi per passare all’azione.
I sentimenti che Una donna promettente fa emergere nelle spettatore sono molteplici e anche controversi: indignazione, solidarietà, dolore, tenerezza, rabbia.
La brillante sceneggiatura di Fennell porta sullo schermo i principali temi della realtà misogina contemporanea, tra cui: le aspettative sui traguardi sociali che una donna dovrebbe raggiungere, le indesiderate e inopportune attenzioni maschili, la stessa struttura retrograda e patriarcale della società.
La materia trattata è così scottante, così terribilmente vicina che lo spettatore non può non sentirsi coinvolto, visto il recente dibattito collettivo sul tema. Il film è così spiazzante da fugare ogni dubbio circa la (a volte distorta) narrazione che viene proposta riguardo infimi episodi di questo tipo.
L’esperimento sociale dark, quasi crudele che Cassie conduce da sé conferma le intenzioni subdole di certi tipi di uomini e le loro reazioni: dopo la sorpresa, solo una vana e blaterata giustificazione alle loro azioni, che non contemplano mai il “mea culpa” ma, anzi, il vile attacco alla protagonista, additata come “psicopatica”.
È il cosiddetto “victim blaming”, la colpevolizzazione della vittima che, nella maggior parte dei casi donna, è sempre troppo ubriaca, troppo svestita, troppo socievole.
Carey Mulligan interpreta in modo impeccabile una giovane donna che, delusa e disgustata da un sistema sociale che cura solo l’apparenza e valori feticci, cerca da sé una giustizia inesistente e denuncia come molti, spesso, anche se involontariamente, con comportamenti omertosi si rendano complici della “cultura dello stupro” (rape culture): versioni femminili screditate e messe in dubbio, disinteresse e mancato supporto della legge, giudizio negativo dei pari.
La sceneggiatura, tra battute tranchant e momenti di tenerezza, esalta l’interpretazione dell’attrice, che tra il sadico e l’ironico ammalia lo spettatore, il quale sebbene si renda conto che Cassie sia profondamente turbata, non può non essere in sintonia con il suo disperato tentativo di dare un senso a ciò che sembra inspiegabile.
James Brown cantava che “questo è un mondo di uomini” ed è vero, lo è: nel 2021 le donne si trovano ancora costrette a dover affermare e difendere la loro dignità in un contesto sociale che le tiene ai margini.
Questo film, con un finale amaro da nervi tesi, è la prova che la denuncia sociale, sempre necessaria, non debba sempre servirsi della narrazione di luoghi comuni, ma con brillantezza e sì, anche genuino parossismo, possa assolvere al suo compito di sensibilizzazione.