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Prata Sannita. La parola alle Carte di Storia, documenti inediti per la rubrica “Matese tra Moderno e Contemporaneo”

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Matese tra Moderno e Contemporaneo

Condizioni economiche della baronia di Prata, in Terra di Lavoro, attraverso il relevio del 1706

Introduzione

di Armando Pepe
Un relevio, documento di natura eminentemente fiscale indicante la donazione in denaro che l’erede del feudatario doveva fare al re per riottenere il feudo, è un’adeguata fonte per comprendere nel dettaglio le entità produttive di un luogo, nel caso  specifico per analizzare la struttura sociale e le dinamiche economiche, agli albori del XVIII secolo, della baronia di Prata (in Terra di Lavoro, nel Regno di Napoli), un territorio di  82, 08 km², situato nel quadrante nord orientale della provincia di Caserta e comprendente gli attuali comuni di Prata Sannita (con il borgo di Pagliara), Pratella (con le frazioni di Mastrati e Roccavecchia) e Valle Agricola (fino al 1863 Valle di Prata). Quasi completamente la baronia di Prata, da un punto di vista ecclesiastico, era di competenza della diocesi di Alife, ad esclusione di Mastrati, che ricadeva nella diocesi di Venafro. Ancora oggi i confini diocesani sono rimasti inalterati. La zona è prevalentemente montuosa, rientrante nella regione del Matese, ad eccezione della piana di Mastrati, nei cui pressi scorre il Volturno. Per una più efficace descrizione geografica si può fare riferimento a una datata guida del Touring Club Italiano[1], apprendendo che «A Sud Est di Pratella, alle falde del colle Pizzuto, sgorga l’acqua minerale di Lete. Vi sono anche sorgenti di acqua sulfurea e ferruginosa». Sede del feudatario, quando si trovava nei propri possedimenti, era il castello di Prata, in età moderna adibito anche a scuola di paggi. In base a una preziosa relazione che Nino Cortese[2] trascrisse in Spagna presso l’Archivo General de Simancas, si viene a sapere che nel 1531 «La tierra de Prata está situada a la falda de un monte y tiene buenos muros y un castillo bello en lo alto del monte que señorea la tierra; passale un rio grande por cerca el muro, en donde ay molinos de farina; tiene fasta dozientos fuegos [nuclei famigliari] y tiene bosques y buenos terminos con toda jurisdiction, con un casal che se llama la Valle; está a XXXX millas de Napoles y de Benafra [Venafro] VIII millas; es tierra fértil de granos, vinos, olivas; tiene tres ferias y cada semana mercado; tiene una vinya grande y un buen olivito del baron y otra vinya pequeña y una padula y un molino y un monte del baron todo, con una stala grande a la plaça cabe la fonta. Valen todas las entradas del baron cad’año trezientos treze ducados, II tarines. Valeria a vender diez mil ducados de oro porque tiene todas buenas qualidades». La situazione, che in pieno XVI secolo era se non florida almeno decente e in linea con i feudi contermini, peggiorò nel corso del XVII secolo, segnatamente dopo la peste del 1656, degradando fino ai limiti della penuria materiale. Aurelio Lepre[3], in merito alla baronia di Prata, osservò che «Le terre erano povere: in questa zona abbiamo, in realtà, l’immagine più evidente della precarietà della situazione economica in certe aree dell’interno. Nel 1681 la rendita complessiva era di circa 700 ducati ed il cespite più grosso era dato dai diritti. Se nel feudo di Valle di Prata c’erano erbaggi, fide ed industrie di animali bufalini, a Prata e Pratella molte erano le terre incolte perché non si era trovato nessuno che le prendesse in fitto e il mulino era diruto. Nel 1706 la situazione non era sostanzialmente cambiata». Nel 1706 infatti fu redatto (per mano di Giuseppe Alvino, commissario della Regia Camera della Sommaria[4]) il relevio[5] in cui il marchese Nicola (o Nicolò) Invitti[6], feudatario della baronia di Prata, dichiarò i propri cespiti, derivanti sia da privative sia da beni allodiali. Per quanto concerne la linea feudale, la baronia di Prata appartenne alla famiglia Invitti, di antiche origini milanesi, dal 1695 al 1806. Nel testo sono spesso citati la portolania (l’ufficio che, nel Regno di Napoli, ricopriva chi era preposto alla manutenzione delle strade, all’edilizia e alla distribuzione delle acque), la zecca (consistente nell’esazione di un tributo per ogni barile di vino su cui s’imprimeva il marchio feudale), la mastrodattia (la carica di chi era addetto, per ogni università e/o terra, alla redazione e alla custodia degli atti pubblici e privati). Preliminarmente, per una maggiore comprensione del contesto, va fatta una precisazione demografica, desumibile dalla relazione ad Limina del 1704 di monsignor Angelo Maria Profiri, vescovo della diocesi di Alife[7]. All’epoca Prata contava 850 abitanti, Valle di Prata 969, mentre Pratella solo 116. Si consideri che il valore sia delle privative sia dei terreni era espresso in carlini, mentre la tassa dovuta al fisco regio era espressa in grani; la monetazione, sotto il viceré Juan Manuel Fernández Pacheco y Zúñiga (Duca d’Escalona e Marchese di Villena) non prevedeva il ducato. Per comodità esegetica, ad ogni modo, si tenga presente che un ducato equivaleva a 100 grani o 10 carlini.

Documento

«Informatio Relevii in Regia Camera presentati ab Illustrissimo Domino Nicolao Invitti Marchione Pratae ob mortem Illustrissimi Domini Caroli Invitti, ejus Patris, secutam  die decima nona mensis Junii 1705 pro introibus pheudalibus Terrarum Pratae, et Pagliarae, Feudi Mastratj, Terrarum Pratillae, et Roccae Veteris, et Terrae Vallis, in Provincia Terrae Laboris. Captum a Josepho Alvino, Commissario Regiae Camerae Sommariae. Informazione del Relevio presentato nella Regia Camera della Sommaria dall’Illustre Don Nicola Invitti, Marchese di Prata, per morte dell’Illustre Don Carlo Invitti, suo Padre, seguita a 19 Giugno 1705, per la Terra di Prata, Pagliara, Feudo disabitato di Mastrati, Pratella, Rocca Vecchia, e Valle. Per ordine del Regio Fisco i testimoni devono personalmente conferire nelli sopraddetti luoghi, con un attuario, assistito da uno scrivano, accompagnato da quattro soldati, due a piedi e due cavallo. Informatione riferita il 17 Dicembre 1706. Prata e Pagliara. La Fiera di S. Agostino in Agosto 1705 fruttò e rendé, franca di spese, carlini 38. Le Terre di Prata, e Pagliara, e Feudi di Mastrati, Pratella, Roccavecchia e la Valle pervennero al suddetto Illustrissimo Don Carlo Invitti per compra fattane il 16 Aprile 1695 dall’Illustre Don Carlo de Cardenas, Marchese di Laino, [cui erano passati in eredità] per la morte della quondam Illustrissima Donna Faustina Carafa, Marchesa di Vico, sua Madre, il 13 Novembre 1681.
La Taverna con proventi civili e Passo fuora delle pecore del Tino [Letino], con il terreno detto “Fontana della Riva”, affittati a Nicola Storto per carlini 100. Il Passaggio delle pecore dal Tino ha fruttato carlini 20. La Zecca e Portolania di Prata e Pagliara ha fruttato carlini 50. Il Presente [di Natale] di Prata e Pagliara rende carlini 12. La Mastrodattia affittata per carlini 45. La Pincera [fabbrica di tegole] è affittata per carlini 3. La Pesca delle trotte non s’è affittata, tutta volta si denuncia per la somma solita ad affittarsi di carlini 6. L’Erbaggio del Padulo affittato per carlini 10. Il Territorio detto “Cupola”, affittato per tomoli 10 di grano, ha fruttato carlini 12. La Vigna allo Fragnito, con Terreno et Oliveto delli Busciani, affittati per carlini 7. Il Trappeto è affittato per carlini 20. La terza parte delli Oliveti feudali, stante [che] le altre due parti sono burgensatiche, nel passato anno 1705 fruttò solo stara 13 e 1/3, è affittata per carlini 60. Il Molino per il grano, il quale per la pessima qualità né meno si trova a vendere a carlini 6 il tomolo, è affittato per carlini 264. Il Casamento detto “La Conciaria” è affittato per carlini 20. La Gualchiera è affatto diruta. La Pesca nel fiume Volturno non ha reso cos’alcuna. Feudo disabitato Mastrati. [nel 1531 tiene fasta X fuegos; está vezina a Benafra; passale el rio de Ulturno por el pie; tiene un castillo viejo y la tierra es mal murada; es fertil en el llano, qu’ella está en un monte de granos, olio, poco vino. Vale d’entrada al baron cad’año sessenta y dos y medio ducados[8]]. Mastrodattia, Zecca, e Portolania di Mastrati non han reso cos’alcuna per essere affatto disabitato. Il Trappeto di Mastrati totalmente diruto. Il Territorio delle Lanzare incolto et affatto infruttifero. Li Territori detti “La starza della Contessa”, “Le Grotte”, “L’Attrusi”, con “Le Mandrelle” incolti, boscosi et affatto infruttiferi. Il Territorio detto “Le Limate dello Chiaito”, et il Territorio detto “Lo Calzone” affittato per tomoli 20 di grani ha fruttato carlini 24. Nel Feudo di Valle [di Prata], a [in base al] pascipascolo [contratto di pascolo], e sulla montagna di Mastrati, in demanio, si sono pascolate duecento vacche della casa di detto Marchese; in oltre si sono fidate 50 vacche di forastieri al solito prezzo di carlini 4 per ciascheduno pezzo d’animale vaccino; con che, tutta la rendita, per le vacche forastiere, porta 200 carlini. Pratella e Rocca Vecchia. [nel 1531 Pratella tiene XXV fuegos ó XXX. Vale d’entrada al baron veyntisiete ducados al año. Valeria a vender fasta mil y quinientos ducados de oro[9]]. La Selva affittata per carlini 15. [Le terre da cui provengono] Le Decime [decima parte del raccolto, pagata come tributo al signore feudale], affittate per tomoli 40 quaranta di grano, rendono carlini 48. La Zecca e Portolania di [Pratella e Roccavecchia] affittata all’Università per carlini 31. La Mastrodattia affittata all’Università per carlini 27. La Starza della Taverna Feudale affittata per carlini 3. Il Territorio detto dell’Isola, seu Limata, affittato per 50 cinquanta tomoli di grano, rende carlini 60. La Pesca delle trotte non affittata non ha reso cos’alcuna. Il Molino affittato per tomoli 20 di grano rende carlini 24. La Fida dell’Erbaggio di Rocca Vecchia affittata per carlini 60. La Pincera è affittata per carlini 2. Valle [di Prata]. La Mastrodattia affittata all’Università per carlini 100. La Zecca e Portolania [di Valle] affittata all’Università per carlini 110. La Fida dell’Erbaggio de’ Forestieri ha reso carlini 5. La Difesa delle Torricelle ha reso carlini 47. Il Molino affittato ha reso carlini 56. Peso dell’adoha [imposta commisurata alla superficie o al reddito del feudo] carlini 153. Attraverso il Banco dello Spirito Santo Don Nicola Invitti paga al Gran Camerario del Regno e, per esso, alla Regia Corte 121 grani per la metà dell’entrate feudali della Baronia di Prata, cioè delle Terre di Prata e Pagliara, Pratella e Roccavecchia, Valle, e Mastrati, dedotti di cinquantatre grani di spese. 28 Giugno 1706, Don Nicola Invitti, Marchese di Prata. [Relevio recepito] Dalla Regia Camera della Sommaria li 18 dicembre 1706, [controfirmato da] Tomaso Spada».

 (1) Luigi Vittorio Bertarelli, Guida d’Italia del Touring Club Italiano. Italia meridionale. III volume. Campania, Basilicata e Calabria, Touring Club Italiano, Milano 1928, p. 265.

[2] Nino Cortese, Feudi e feudatari napoletani della prima meta del Cinquecento, Società Napoletana di Storia Patria, Napoli 1931, pp. 105-106.

[3] Aurelio Lepre, Terra di Lavoro nell’età moderna, Guida, Napoli 1978, p. 35.

[4] Roberto Delle Donne, Burocrazia e fisco a Napoli tra XV e XVI secolo : la Camera della Sommaria e il Repertorium alphabeticum solutionum fiscalium Regni Siciliae Cisfretanae, Firenze University Press, Firenze 2012.

[5] Archivio di Stato di Napoli, Regia Camera della Sommaria, Materia Feudale, Relevi secc. XV-XIX, Terra di Lavoro e Contado di Molise, contenitore 64, unità di descrizione 9 «Prata e Pratella».

[6] Cfr. Giuseppe Reccho, Notizie di famiglie nobili, ed illustri della città, e Regno di Napoli, descritte da don Giuseppe Reccho, Duca d’Acquadia. Libro libero nelle verità con la genealogia dell’illustre famiglia Latro, presso Domenico-Antonio e Nicola Parrino, Napoli 1717, p. 168.

[7] Armando Pepe (a cura di), Le relazioni ad Limina dei vescovi della diocesi di Alife (1664-1773), Youcanprint, Lecce 2019, p. 77.

[8] Nino Cortese, op. cit., p. 103.

[9] Nino Cortese, op. cit., p. 105.

 

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