Quella di Santa Maria in Cingla è la storia di un primato locale… Siamo ad Ailano, dove la ricerca archeologica, spesso dibattuta, fa risalire l’inizio delle prime testimonianze scritte in lingua volgare (più famoso è il Placito Capuano).
Siamo ai piedi del Matese nei pressi di altrettanti piccoli comuni come Prata Sannita sede di un suggestivo borgo medievale e un antico convento; e Pratella dove è imbottigliata l’Acqua Lete, ma da sempre “sorgente” naturale per quanti si sono abbeverati direttamente lungo il fiume o alle cannelle presenti un po’ ovunque.
Ailano, di storia potrebbe raccontarne tanta: dal suo essere sede termale ai tempi dei romani; dall’essere uno dei pochissimi comuni italiani in cui si venera San Giovanni Evangelista; dall’essere laboratorio musicale di prestigio per il concerto bandistico…
Il contributo di Maria Chiara Cappello, originaria del luogo, studentessa di Archeologia all’Università Federico II di Napoli, oggi ci dice che ai giovani sta a cuore lo studio della propria terra, sta a cuore farne conoscere il patrimonio… Piccole forme di “cura” perché nulla vada perduto. E possibilmente recuperato.
Maria Chiara Cappello – Il Monastero di Santa Maria in Cingla è un importante sito archeologico risalente all’VIII secolo d. C.
Situato in Ailano esso possiede una grande importanza storica ma, nel tempo, a causa dell’incuria è diventato un complesso poco conosciuto.
Secondo alcuni storici il primo cenobio sorse nei primi anni del 700 grazie al longobardo saraceno Scudalscio. Nell’agosto 743 questi, non avendo eredi, donò il santuario ai monaci benedettini di Montecassino; l’abbazia fu quindi fondata in quell’anno dall’abate di Montecassino Petronace con il contributo del duca di Benevento Gisulfo II e di sua moglie Scanniperga. Quest’ultima volle che le abatesse fossero tre nobili pellegrine longobarde: Ganzonia, Panchretuda e Gariperga.
La prima struttura dell’abbazia, che era di stile longobarda, risale all’VIII secolo ma fu distrutta due volte dai Saraceni (nell’ 846 e nel 943) e ricostruita nel 1114 dall’abate Gerardo di Montecassino. La nuova chiesa invece, di stile normanno, restò attiva fino al 1723. Successivamente è iniziato l’inarrestabile degrado.Con il secondo attacco dei Saraceni al Monastero di Santa Maria in Cingla, Giovanni, l’amministratore dei beni dell’abbazia, fece trasferire le monache a Capua, città poco distante. Nel frattempo ci furono dei disguidi tra il conte di Teano Atenolfo e il preposto Giovanni. Essi si ritrovarono davanti al giudice Bisanzio poiché il conte era accusato di aver fatto entrare i suoi ministeriales (persone dotate di singole autorità o di compiti di vario genere) indebitamente su dei terreni appartenenti al monastero e di averne fatto raccogliere i frutti. Per il conte si trattava di terreni demaniali, per il preposto invece erano beni del Monastero di Santa Maria in Cingla e lo poteva dimostrare con i testimoni. Il giudice dispose un sopralluogo e ascoltò due testimoni, i quali giurarono sul Vangelo e pronunciarono la famosa formula in volgare: Sao cca kelle terre per kelle fini que tebe mostrai trenta anni le possette parte Sancte Marie (So che quelle terre per quei confini che ti mostrai le possedette per 30 anni la Chiesa di Santa Maria).
Dopo questo episodio tra il monastero e il Conte di Teano, nacquero preziosi documenti in volgare come il placito dell’ottobre 963, redatto a Teano, capoluogo della contea longobarda.
Sono universalmente noti i quattro placiti cassinesi di Capua, Sessa Aurunca e Teano, conservati nell’abbazia di Montecassino. Si tratta di testimonianze rese in volgare davanti al giudice durante cause interessanti monasteri benedettini cassinesi.
Da una lettera del sindaco di Ailano del 18 febbraio 1870 al Prefetto dell’epoca si apprende che del monastero erano ancora visibili le tre absidi della chiesa, le colonne, il pavimento coperto a mosaico e gli affreschi sul muro della navata centrale e sulla volta; tra questi un dipinto raffigurante un abate morto mentre un angelo senza ali lo adagia nel sarcofago. Si ammiravano inoltre colonne corinzie, capitelli e cornici provenienti da un tempio romano preesistente.
Oggi è rimasto un rudere assediato dalla vegetazione. Sono rimasti in piedi solo l’abside e i muri perimetrali fino all’altezza del tetto, il convento invece è sparito: in epoca longobarda esso si trovava sulla sinistra della cappella. Di fronte a quest’ultima vi sono dei pezzi di marmo e delle colonne, su una delle quali c’è un’epigrafe di epoca romana.
Attraverso alcune indagini si riportò alla luce che il monastero aveva una pianta basilicale a tre navate e senza transetto. Ciò che ne rimane oggi sembra più assomigliare a una piccola chiesa a navata unica. Tra le curiosità riguardanti il Monastero di Santa Maria in Cingla abbiamo che, nel tempo, molti archeologi e storici appassionati dell’abbazia hanno contribuito a ricercare reperti in tale sito ed è stato trovato in superficie del materiale medievale come ad esempio un frammento di olla da fuoco decorata con linee ondulate ed incisa con punta larga e anse nastriformi.
Il centro monastico è celebre dunque per essere stato luogo di stesura di alcuni tra i più antichi documenti recanti formule di testimonianza riportate in lingua italiana arcaica.
Esso sorgeva nella pianura attraversata dal fiume Volturno e rappresentava uno dei centri religiosi più fiorenti dell’Alto Medioevo siti in quest’area. La sua posizione risultava particolarmente favorita dal punto di vista naturale, e quindi economico, dalla presenza dei fiumi Lete e Volturno.
Attualmente i resti del monastero si trovano sparsi all’interno di un terreno privato appartenente a diversi proprietari per cui l’accesso all’area – che si spera di far diventare un riconosciuto sito archeologico – non è accessibile.