Matese tra moderno e contemporaneo
I fatti storici e politici che precedettero la realizzazione della Centrale idroelettrica del Matese: nel racconto a firma di Flaminia Candida Gonzaga si incrociano i nomi e le sigle che prima e dopo la Grande guerra parteciparono del nuovo sviluppo sociale e industriale del Mezzogiorno. Per la rubrica di Clarus “Matese tra moderno e contemporaneo” un prezioso contributo che superando la cronaca dei fatti, mette in luce le personalità e le anime di alcuni protagonisti.
di Flaminia Candida Gonzaga
C’è un anniversario che si sarebbe potuto celebrare quest’anno, o quantomeno ricordare in tempo, se non avessimo vissuto tempi di straordinaria emergenza: il centenario dell’inaugurazione del “traforo del tunnel” per la condotta delle acque del lago Matese.
Fu adoperando questi termini che si celebrò allora quell’evento.
Era il 10 aprile del 1921 quando veniva completato il primo tratto dell’impianto idroelettrico progettato dalla Società Meridionale di Elettricità. Per l’occasione sulla riva del lago si radunarono le autorità, gli esponenti più in vista dei comuni del circondario coinvolti dal nuovo progetto, insieme ai vertici della SME. Non poteva mancare Maurizio Capuano che ne ricopriva l’incarico di amministratore delegato. È dell’11 aprile, il giorno successivo, la fotografia che lo riprende a San Potito Sannitico nel giardino del Palazzo sito alle Formose insieme alla moglie Marthe Hemery e alla figlia Yvonne. Era lei, la figlia, la ragione della presenza a San Potito dell’artefice dell’impianto, per aver sposato nel settembre del 1919 il conte Roberto Filangieri presente anche lui nella foto e seduto accanto al figlio minore dell’imprenditore, Max Capuano.
Per conoscere e capire fino in fondo la storia della centrale idroelettrica del Matese ed il ruolo fondamentale che vi hanno avuto i capitali esteri ed in particolare quelli svizzeri è proprio la vicenda personale di Maurizio Capuano che va raccontata, intrecciata com’è strettamente con quella dell’elettrificazione del Mezzogiorno negli anni del primo quarto del ‘900.
Innanzitutto era svizzera sua madre, Tullia Schlaepfer, che aveva sposato l’avvocato partenopeo Odoardo Capuano, direttore della Banca generale della Penisola Sorrentina. Apparteneva ad una famiglia di imprenditori originari del cantone confederale di San Gallo; arrivati nel Regno delle Due Sicilie ai primi dell’Ottocento avevano fondato insieme ai Wenner la Schlaepfer-Wenner & C. una fiorente industria tessile che produceva tessuti in cotone nel circondario di Salerno.
La moglie francese di Maurizio, Marthe Hemery, era figlia di Emile Hemery, direttore della Compagnie Napolitaine d’éclairage et de chauffage par le gaz, fondata a Napoli nel 1862 dalla Parent, Schaken et C.ie. La finanziaria fondata da imprenditori di origine belga ed inizialmente interessati piuttosto al settore ferroviario, si era aggiudicata dal Comune di Napoli il contratto per l’illuminazione pubblica e privata della città.
In quegli anni si stava avviando la transizione dal gas all’elettrificazione e la compagnia francese, alla cui direzione era subentrato Victor Krafft dopo la scomparsa prematura di Emilio Hemery nel 1881, si dimostrava restia ad intraprendere una riconversione che necessitava anche di cospicui investimenti. Fu dapprima una nuova società interamente nazionale a lanciarsi nella nuova impresa, la Società generale per l’illuminazione che stipulò un contratto con il Comune di Napoli per l’illuminazione del San Carlo e della Galleria Umberto. Ma la SGI si ritrovò presto in difficoltà e la Banca Industriale e Commerciale che ne era la principale finanziatrice avviò trattative che culminarono con la vendita di tutte le azioni della SGI alla Compagnie Napolitaine. Ma occorrevano altri capitali ancora e fu dalla Svizzera che vennero in soccorso nuovi soci raggruppati intorno alla Union Financière de Génève attraverso una nuova società fondata a tale scopo, la Compagnie genévoise pour l’industrie du gaz.
Era il 1893 e fu Maurizio Capuano, allora giovane avvocato di 28 anni, a ricevere l’incarico di rappresentante personale di Edmond Aubert della Compagnie genévoise nel Consiglio di amministrazione della SGI e immediatamente dopo a esserne nominato amministratore delegato. L’anno successivo la Compagnie Napolitaine e la SGI che si erano ormai unite firmarono un contratto con il Comune per realizzare l’illuminazione elettrica della città. Poi fu la volta della fornitura dell’energia elettrica alla Società dei tramways napoletani, in mano al capitale belga.
Il capitale svizzero-ginevrino si riorganizzò e costituì la Société Franco-Suisse pour l’Industrie Electrique. Fu allora che di fronte ad un notaio, il 20 marzo 1899, nacque a Napoli la SME-Società Meridionale di Elettricità. Il capitale iniziale di 1 milione fu sottoscritto per il 64% dalla Franco-Suisse, per il 18% dalla Compagnie Napolitaine d’éclairage et de chauffage par le gaz, mentre per il restante 10% dalla Banca Commerciale Italiana. Nel progetto furono coinvolti da Capuano anche alcuni importanti capitalisti napoletani soci della SAD, la Società di Assicurazioni Diverse, già Banca Filangieri.
Proseguendo nel suo ruolo di garante degli investitori confluiti nel progetto che aveva portato alla nascita della SME, Maurizio Capuano ne fu nominato amministratore delegato. Nell’atto costitutivo della SME erano indicati lo scopo e le norme che avrebbero guidato la nuova società, in particolare lo Statuto riportava come obiettivo: la costruzione e l’esercizio di impianti idroelettrici per diffondere nell’Italia meridionale l’impiego dell’energia per illuminazione. Come primo atto ci si proponeva di ottenere la concessione di forza idraulica del fiume Tusciano.
Si trattava di un piccolo fiume con la foce al centro del golfo di Salerno. Nel primo tratto percorso nelle montagne dell’entroterra si progettò quindi di realizzare una centrale ad acqua fluente. A usufruire dell’energia così prodotta sarebbe stato il territorio compreso tra Salerno e Torre Annunziata, in cui si concentravano la maggior parte delle attività manifatturiere, tessili e alimentari, del napoletano.
Nel 1902 la Franco-Suisse trasferì le sue partecipazioni italiane alla Société financière italo-suisse, elevando da 1 a 5 milioni il capitale della SME. Il rafforzamento dell’assetto societario continuava a valersi di accordi significativi con la Banca Commerciale e con il Credito italiano.
Nel 1905 entrò in funzione l’impianto del Tusciano, dopo qualche ritardo nella concessione idroelettrica perché una parte dell’energia ricavata avrebbe dovuto essere riservata all’alimentazione elettrica delle ferrovie. L’importanza dell’utilizzazione costante anche nelle ore diurne dell’energia idroelettrica ricavata dall’impianto e che non poteva essere immagazzinata determinò il peso significativo dei consumi industriali e portò all’ingresso dell’industriale tessile svizzero Roberto Wenner nel Consiglio della SME.
La messa in esercizio del Tusciano segnò un’intensificazione nella ricerca di nuove disponibilità elettriche. Ben presto infatti si rivelò insufficiente a coprire la richiesta crescente del mercato. Per questo furono presentate le domande di concessione e furono elaborati i progetti per lo sfruttamento delle acque del Lete, un affluente del Volturno, e di quelle del lago del Matese al quale si cominciò a dedicare molta attenzione.
Di pari passo cresceva la concentrazione delle azioni delle società coinvolte nell’elettrificazione, con l’acquisizione della Società napoletana per le imprese elettriche che si trovava in difficoltà finanziarie da parte della SGI.
Nel 1906 la SME aumentava nuovamente il capitale, passando da 5 a 10 milioni con il 46% versato dalla Franco-Suisse e dalla Italo-Suisse, il 14% dal Credito Ticinese e il 40% dalla Elektrobank, la finanziaria svizzera di riferimento del gruppo tedesco AEG. Erano svizzeri, e quasi tutti ginevrini, gli uomini al vertice della società: Edmond Aubert, presidente della Franco-Suisse e anche presidente della SME l’anno successivo, Ernst Hentsch dell’omonima banca e Charles de Haller responsabile tecnico dell’azienda. A tessere le fila di questi sviluppi era sempre lui, Maurizio Capuano che entrava a far parte come amministratore delegato anche in varie società del gruppo.
L’attivazione dell’impianto del Lete fu ultimata nel 1907. Un anno che segnò l’inizio di un periodo di difficile congiuntura economica con la crisi di liquidità che portò a una forte contrazione del credito per l’industria destinata a durare fino alla conclusione della Grande Guerra. Fu quindi per il momento rinviata la costruzione dell’impianto del Matese che necessitava di ingenti investimenti.
Fu invece realizzata una centrale sul Pescara rilevandola dalla Società italiana di elettrochimica dopo che la situazione di crisi aveva cancellato lo sbocco industriale inizialmente previsto per l’energia che si sarebbe prodotta. La società italiana aveva come principale azionista la Société Financière Italo-Suisse. Al salvataggio si prestarono la SME e la SGI che consentirono la ripresa dei lavori. La centrale venne realizzata sul secondo salto del Pescara. L’elettrodotto che trasportò l’energia fino alla stazione ricevitrice di Poggioreale fu all’avanguardia sia per il tracciato lungo 186 km con un attraversamento degli Appennini ad oltre 1.200 metri di quota che per la tensione trasportata ad un potenziale di oltre 88 Kw. Produzione, trasporto e distribuzione venivano sempre più a far parte di un sistema integrato.
In quegli anni, Maurizio Capuano aveva stabilito un legame importante con Francesco Saverio Nitti, un politico con cui finì per trovarsi in sintonia. Alla base delle loro intese c’era il progetto di Nitti per Napoli, città industriale. Con l’appoggio di Giovanni Giolitti, l’economista lucano appena eletto deputato era riuscito a dar corpo alle speranze di riscatto economico e industriale del Mezzogiorno che da tempo erano oggetto del suo studio. Aveva presentato un progetto che coniugava le prospettive di sviluppo del settore siderurgico e cantieristico con una sufficiente disponibilità di energia idroelettrica a basso costo. A questo scopo il disegno di legge prevedeva la creazione di un ente autonomo per lo sfruttamento delle acque del Volturno. Ma la loro nazionalizzazione, prevista dalla legge speciale per Napoli del 1904, fu destinata a non decollare, mentre invece si mettevano in moto tutte le agevolazioni volte a richiamare investimenti a favore dell’industrializzazione. Era questa la spinta indispensabile che sarebbe servita ad alimentare l’espansione della richiesta di energia idroelettrica. Tuttavia il suo sfruttamento e la sua distribuzione restavano ben fermi nelle mani del capitale privato che solo riscuoteva la fiducia di industriali, tecnici e del maggior parte del mondo politico.
Fu nel 1911 che Maurizio Capuano incontrò Francesco Saverio Nitti, diventato nel frattempo Ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio. Ad accompagnarlo all’incontro c’era l’ingegnere Angelo Omodeo, straordinaria figura che dedicò le sue capacità tecniche e creative all’ideazione e alla realizzazione di numerosi progetti per lo sfruttamento delle risorse idroelettriche. Per il momento però si trattava di convincere il ministro del governo Giolitti che solo il capitale privato poteva garantire l’integrazione tra elettrificazione e industrializzazione e dissuaderlo dal portare avanti il progetto di sfruttamento pubblico delle acque del Volturno. Una preoccupazione più che legittima per chi stava costruendo il proprio mercato di utenza che solo avrebbe garantito il pieno sfruttamento dell’energia idroelettrica dei propri impianti.
L’incontro del 31 luglio 1911 segnò una svolta che ebbe a condizionare tutta la successiva opera del governo nel campo dell’elettrificazione. I lavori dell’Ente Volturno che erano già iniziati nel mese di marzo sarebbero andati avanti a rilento senza mai decollare.
Il progetto più importante che cominciò a delinearsi, per il momento solo in fase di studio, fu quello dello sfruttamento dei bacini della Sila. Era lì che si concentravano le maggiori risorse idriche del Mezzogiorno, ma la sfida era enorme. Nel 1908 fu costituita con sede a Napoli la Società per le forze idrauliche della Sila, chiamata poi semplicemente Sila. Nasceva come società di studio per la concessione delle forze idrauliche dell’altopiano della Sila, ma già aveva in sé la forza necessaria per svilupparsi. Al suo capitale iniziale concorrevano la SME, insieme alla Franco-Suisse e alla Bastogi. Sarebbe poi subentrata anche la Banca Commerciale.
Così all’incontro iniziale di luglio con Francesco Saverio Nitti seguirono altri incontri nel mese di ottobre tra il ministro e l’ingegner Omodeo che servirono a preparare le leggi che avrebbero agevolato la costruzione dei laghi artificiali della Sila. Erano le basi indispensabili alla ripresa del progetto dopo la Grande Guerra. Con la legge n.985 dell’11 luglio 1913 la Società per le forze idrauliche della Sila ottenne la concessione dello Stato per la costruzione e l’esercizio degli impianti per 60 anni.
L’anno successivo si registrarono importanti cambiamenti nella SME con una mutazione radicale della sua struttura ed Il suo capitale azionario che passò da 10 a 50 milioni. Fu l’Italo-Suisse a sottoscrivere i 2/3 dell’aumento. La SME acquisì la quasi totalità del capitale azionario delle due aziende elettriche napoletane, la SGI e la SNIE, arrivando in questo modo a controllare le maggiori aziende di distribuzione. All’aumento di capitale concorsero i maggiori centri finanziari italiani e stranieri, tra i quali la già presente Elektrobank, finanziaria zurighese della casa elettromeccanica tedesca AEG anche se in posizione minoritaria. Gli istituti creditizi italiani furono attirati dalle prospettive di sviluppo che si intravedevano grazie all’iniziativa statale. Entrarono nuovi consiglieri accanto agli amministratori ginevrini. Maurizio Capuano restò confermato nel suo incarico.
Tuttavia il mercato dimostrava ancora una scarsa capacità espansiva. La situazione fu destinata a cambiare a breve quando il conflitto e le esigenze belliche mutarono l’intero scenario. Fu allora che si creò una importante sinergia della SME con l’ILVA, inaugurata nel 1910 a Bagnoli; le risorse idroelettriche trovavano il loro pieno utilizzo attratte dalle necessità della produzione siderurgica alimentata fortemente dalle commesse belliche.
La situazione tuttavia risentì pesantemente della crisi sopraggiunta con la fine della Grande Guerra, cui contribuirono fattori diversi, dall’ulteriore aumento del costo delle materie prime, a quello del carico per il personale, alla svalutazione del cambio italiano. Fu in quegli anni che La SME si trovò a dover riconvertire il suo azionariato, attraverso complesse operazioni finanziarie sia per far fronte alla crisi dell’ILVA che alle difficoltà crescenti nel reperire capitale estero. I tradizionali finanziatori ginevrini vennero sostituiti dai maggiori istituti finanziari italiani.
A partire dal 1919 la ripresa del programma della SME fu rivolta alla costruzione dei due impianti del Matese ed a quelli sul Tanagro e l’Aventino per la cui realizzazione si prevedeva una spesa di 45 milioni di lire. La copertura della cifra venne assicurata da aperture di credito dei maggiori istituti finanziari italiani: la Banca Commerciale Italiana, il Credito Italiano, la Banca Italiana di Sconto, il Banco di Roma, la Zaccaria Pisa e la Bastogi.
È sempre Maurizio Capuano a gestire il coordinamento degli ingenti finanziamenti presiedendone la Commissione centrale finanziaria creata per realizzare la migliore sinergia tra gli istituti di credito.
Fu così che venne dato il via ai lavori per l’utilizzazione delle acque del Matese che avrebbero assicurato una notevole disponibilità di energia. La loro realizzazione fu festeggiata con l’inaugurazione del traforo che avrebbe convogliato le acque verso l’insieme degli impianti idroelettrici che sarebbero stati costruiti negli anni successivi.
In quei giorni di aprile del 1921 le cime innevate del Monte Miletto e della Gallinola facevano da cornice al grande progetto cui veniva dato inizio. La sua realizzazione avrebbe preso più tempo del previsto, e solo nei primi mesi del 1923 sarebbe stato ultimato e messo in esercizio l’intero impianto del Matese, capace di produrre fino a 50 milioni di kWh.