Marco Testi – “La parola può vincere là dove fallisce ogni altra arma. Ma rimane nuda, e solitaria, dopo la sua vittoria”. L’analisi del mito di Orfeo è illuminante per farci capire la profondità controcorrente di uno dei più profondi conoscitori del rapporto tra letteratura, mito, religione, Roberto Calasso, scomparso il 28 luglio (ndr) a Milano. È impressionante la sua lettura della capacità vitale della parola ma anche della sua insufficienza a combattere il mostro dell’odio quando si presenta sotto forme varie, dal radicalmente razionale al ritorno al razzismo puro e semplice.
Non solo scrittore, ma praticamente simbolo di una casa editrice, quell’Adelphi fondata nel 1965 da Roberto Olivetti (figlio di Adriano) e Luciano Foà con l’apporto di Roberto Bazlen, un altro saggio onnivoro e oracolo ascoltatissimo dai grandi scrittori del tempo; dal 1971 ne divenne direttore con pieni poteri decisionali.
Non solo i miti, bensì anche la modernità contro il politicamente corretto e la disciplina di partito, come nei suoi studi sugli “eretici” Kafka e Baudelaire, ma anche il successo assoluto dell’edizione di Siddharta di Hesse, che certa sussiegosa critica militante ha visto come superficiale cedimento al misticismo irrazionalista e ai miti giovanili che in realtà sarebbero nati cinquant’anni dopo, grazie anche e soprattutto a quel racconto (operava in quel settore l’astio e il sospetto verso qualsiasi produzione potesse lontanamente sapere di religione); l’appoggio editoriale a scrittori come Kundera e Anna Maria Ortese e l’edizione postuma delle opere di Guido Morselli sono ulteriori prove della coraggiosa indipendenza della coscienza e della cultura di Calasso. Per non parlare del sostegno a Colli per l’edizione di Nietzsche “depurata” dalla lettura ideologica favorevole al nazismo della sorella Elisabeth.
Visiting professor a Oxford, Calasso ha rappresentato una spina nel fianco di quell’editoria che vedeva con sospetto quello che veniva considerato un cedimento verso “l’irrazionale” del mito e della religione, qualsiasi essa sia, e Calasso guardava con grande attenzione anche al mondo vedico e buddhista. Figuriamoci allora l’edizione de “Il racconto del pellegrino” di Ignazio da Loyola.
Nella pretesa ideologica di aver capito tutto del mondo Calasso vedeva il nascondimento e l’eredità del colonialismo culturale e imperialista occidentale che quelle stesse ideologie dicevano di combattere.
Fonte Agensir