Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
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XIX domenica del Tempo ordinario – anno B
1Re 19,4-8; Sal 33; Ef 4,30-5,2; Gv 6,41-51
Dopo il segno dei pani Gesù, nel Quarto Evangelo, inizia questo lungo discorso che stiamo leggendo in queste domeniche, in cui prima dice che Lui è il «pane che discende dal cielo», come la manna era discesa dal cielo, Lui è il dono del Padre. È chiaro quindi che è il Padre che fa al mondo questo dono che è Gesù: il pane è segno di Gesù e dunque è necessario cercare Lui, nutrirsi e saziarsi di Lui! Chi fa questo, accoglie il dono di Dio! Il dono è Gesù e lo si accoglie nella fede. La fede ha però una grande opposizione: la mormorazione.
Questa è una critica sorda e sotterranea all’agire di Dio; nel racconto di Giovanni chi ha ascoltato le parole di Gesù mormora contro di Lui perché ha ascoltato da Lui qualcosa che non collima con le sue conoscenze, con le sue idee, con i suoi giudizi e pregiudizi, con i suoi orizzonti ristretti e “a fiato corto”. L’Evangelista qui, è chiaro, continua, con la sua narrazione, a creare un parallelo con l’Esodo: prima il luogo deserto, poi la manna, ora la mormorazione (cf. Es 15,24;16,7). Israele mormorò contro Mosè e contro il Signore, mormorò perché l’agire di Dio, in quel momento non collimava con le sue attese, con le sue idee, con i suoi bisogni.
Mormora chi, come Israele nel deserto, riconduce tutto al “banale”, chi non sa leggere oltre nell’opera di Dio, nella sua rivelazione; nel deserto Israele rimpiangeva il cibo d’Egitto, il cibo di schiavitù, quel cibo che il Faraone gli dava perché voleva che i suoi schiavi sopravvivessero per essere ancora suoi schiavi… anche questa folla a Cafarnao mormora contro Gesù riconducendo tutto all’ordinario, anzi invocando l’ordinario di Gesù per destituire Gesù stesso di credibilità: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre». L’ordinarietà di Gesù, come già leggevamo in Marco qualche domenica fa, è scandalo ed inciampo per la loro fede. Credono di “conoscere” Gesù… ma la “conoscenza” che di Lui bisogna avere non è quella miope e presuntuosa di questa gente, è necessaria una “conoscenza” altra. Una “conoscenza” che si raggiunge solo per dono, solo se ci si apre, senza il diaframma tremendo della mormorazione, al dono di Dio.
Gesù non si oppone alla mormorazione e neanche si giustifica, chiede, invece di accettare lo scandalo della sua ordinarietà, della sua carne, del suo essere “figlio di Giuseppe”; è uno scandalo necessario alla salvezza; se non si va a Lui nella sua verità “di carne” ordinaria, non si accede alla salvezza; Gesù lo dice con chiarezza: bisogna essere attratti a Lui dal Padre. È il Padre che dona la vera “conoscenza” di Gesù. È necessario deporre altre conoscenze, altre idee, altri mondi di pensiero per lasciare spazio in noi al mondo di Dio, alla sua rivelazione.
Il tratto di oggi del discorso del capitolo sei dell’Evangelo di Giovanni, si conclude ancora con un paragone con la manna, ma un paragone che mostra un contrasto: la manna scendeva dal cielo ma chi la mangiò pure morì ma questo pane sceso dal cielo che è Lui darà la vita. Chi ne mangerà non morirà!
A questo punto Giovanni ci fa fare un ulteriore passaggio: se prima il pane (di cui era stato segno la moltiplicazione dei pani) è Gesù e questo pane lo dà il Padre facendolo scendere dal cielo, ora questo pane lo dà Gesù stesso ed è la sua carne per la vita del mondo! Mi pare chiaro come Giovanni qui abbia creato un discorso “per accrescimento” di sensi: i pani moltiplicati sono segno di Gesù che bisogna cercare per saziarsene, Gesù è dono dall’alto del Padre, Gesù dà il pane che è la sua carne, che è il dono di sé senza nulla trattenere per sé, che infine è l’Eucaristia.
Il percorso è impressionante: il Padre, dall’eterno, fa il suo dono alla storia, in quella pienezza dei tempi, preparata dalla Prima Alleanza (Esodo, manna…); Gesù è questo dono alla storia degli uomini, dono in una carne concretissima (sarx; cf. Gv 1,14), ma perché il dono non rimanesse circoscritto a quel tempo e a quel luogo, Gesù dà l’Eucaristia che spande quel dono che dà la vita ad ogni tempo e ad ogni luogo.
Così, ogni tempo e ogni luogo potrà essere riempito di eterno, di una vita che abbia il sapore di Dio.
Così gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo potranno camminare nella storia per giungere alla meta che è Dio, che è il senso della storia. Elia, nella Prima lettura tratta dal Primo Libro dei Re, è “icona” di questo popolo che percorre i deserti della storia, di un popolo che rischia di morire e d’essere sopraffatto e che trova da sé solo miseri ripari (una ginestra!). Elia riceve però un pane che sarà forza per il suo cammino. La liturgia di oggi ci suggerisce che Gesù è venuto ad essere questo pane che dà senso (sazia la fame e la sete che attanagliano l’uomo!) e dà forza permettendo di camminare per terre accidentate e difficili: la metà sarà il “monte” di Dio!
L’autore della Lettera ai cristiani di Efeso, scrive che il cammino del credente, nutrito di quel pane, è cammino nell’ “agàpe”, cammino che ha al cuore l’amore di Cristo che si è offerto a Dio «in sacrificio di soave profumo»: quel pane ci mette in contatto con quel «sacrificio di soave profumo».
L’Eucaristia è una via divina proprio perché è una via “ordinaria”; anche noi, dinanzi a quel pane sull’altare potremmo dire: ma noi sappiamo “di dove viene”! In quell’ “ordinarietà” c’è però l’infinito di Dio, come nel figlio del carpentiere si poteva incontrare il Figlio di Dio disceso dal cielo. Se si mormora contro quest’ordinario non si riuscirà a gustare quel “soave profumo” dell’amore di Cristo perché Dio sceglie l’ordinario: lì si rivela, lì ci cerca, lì ci attende!
Trovarlo nell’ “ordinario” fa straordinaria la storia! La “vita eterna” che quel pane dona è lo straordinario di Dio nella vita dell’uomo; chi accoglie lo straordinario di Dio, che è il Figlio nella sua carne ordinaria, vive la sua stessa vita, la “vita eterna”.