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Commento al Vangelo. “Guardarsi dal cuore”, luogo del bene e del male, perché è lì che fiorisce la Parola di Salvezza

Commento al Vangelo di domenica 29 agosto, XXII del Tempo ordinario - anno B

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Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano Clicca per visitare il sito 

XXII domenica del Tempo ordinario – anno B
Dt 4, 1-2.6-8; Sal 14; Gc 1, 17-18.21-27; Mc 7, 1-8.14-15.21-23

“Il Cristo”, Georg Karl Franz Cornicelius, 1888

Nell’uomo di oggi (e di sempre!) c’è una grande illusione: che ciò che lo minaccia proviene “da fuori” … è da quel che è fuori che bisogna guardarsi; pensiamo alle stupide paure per l’altro, per il diverso, per lo straniero … logiche queste che conducono l’uomo a chiudersi in se stesso. Nel proprio universo, nel proprio gruppo, nel proprio clan, nelle proprie identità nazionali … e ci si illude che lì ci sia salvezza e pace. E quanto questo oggi sia la triste attualità plaudita da tanti che hanno osato e osano presentarsi armati di “Vangelo”, come se il Vangelo potesse essere un’arma; armati di un Vangelo che non hanno mai né letto, né capito …

Gesù, invece, è convinto che ogni minaccia viene “da dentro”. Gesù rinvia all’intimo dell’uomo come luogo d’origine di tutti i mali, di tutte le impurità, di tutti i pericoli. È dal cuore, dal profondo, che proviene quella terribile cascata di iniquità che Marco pone sulle labbra di Gesù: «E’ dal cuore dell’uomo che provengono prostituzioni, furti, omicidi, adulteri, cupidige, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia e stoltezza». Insomma, non è “dall’esterno” la minaccia, è “da dentro”! È lì che bisogna fare la guardia per non essere contaminati dal male e per non lasciarsi sopraffare.

I farisei si preoccupano delle mani, Gesù del cuore, i farisei si pongono il problema del puro e dell’impuro a partire da ciò che entra nell’uomo; Gesù invita i suoi ascoltatori a non preoccuparsi delle mani, ma del cuore e ricordiamo che per gli ebrei il cuore non è la sede dei sentimenti, degli affetti ma è il profondo dell’uomo in cui c’è anche questa dimensione affettiva ma che assolutamente non esaurisce l’uomo. Il cuore (il lev in ebraico) è il “luogo” che, in qualche modo, identifica l’uomo, lo fa essere ciò che è. Dal cuore bisogna guardarsi, non dall’esterno.

Anzi, dall’esterno proviene per il credente la Parola di Dio che indirizza le sue profondità. È quello che è fuori che prende possesso dell’uomo e lo conduce sulle vie di Dio; se l’uomo dovesse fidarsi dell’interno, mette in guardia Gesù, sarebbe condotto su vie di morte. C’è una Parola di salvezza che viene da Dio e che è seminata nel cuore, ha scritto Giacomo nel passo della sua lettera che oggi si ascolta; il cuore dell’uomo non è autosufficiente, non può darsi parole di salvezza; se si confida in se stessi, nel proprio cuore, nelle proprie capacità, si è perduti.

Questa controversia sul puro e sull’impuro conduce l’Evangelo di Marco a farci porre una seria domanda circa il “fuori” ed il “dentro”… a tutti i livelli. La controversia, infatti, è incastonata tra le due moltiplicazioni dei pani che Marco ci narra; l’evangelista si sofferma, in questi racconti, a descriverci una grande sovrabbondanza del pane moltiplicato da Gesù; una sovrabbondanza che fa sì che la prima volta avanzino dodici ceste, la seconda volta sette. I numeri, lo sappiamo, non sono mai casuali nella Scrittura: dodici è il numero di Israele e sette è numero di totalità che ci richiama alla totalità delle genti (cf. At 6,1-7). Il Cristo, dunque, dà un pane che può saziare e Israele e le genti; non è possibile nessuna visione particolaristica per cui il bene è dentro ed il male è fuori! Anzi il rischio può venire proprio “da dentro”: è il “cuore” di Israele che, se pervertito, può trasformarsi in cuore religioso che si compiace e si pasce di dettami legalistici e soffocanti ma che si presentano al contempo rassicuranti e facilmente capaci di dispensare assoluzioni e “certificati di buona condotta”! Gesù ha un rifiuto netto di una religiosità che rende davvero irrespirabile la vita spirituale trasformando l’adesione a Dio in una cappa di piombo di norme da osservare … quanta gente è fuggita da Cristo e dalla sua Chiesa per una presentazione simile del cristianesimo! Ne I fratelli Karamazov Dostoevskij fa dire al Grande Inquisitore a Gesù prigioniero nelle sue carceri queste parole di accusa: «Tu non scendesti dalla croce, quando per schernirti e per provocarti ti gridavano: “Scendi dalla croce, e crederemo che sei proprio tu!”. Non scendesti perché, anche questa volta, non volesti rendere schiavo l’uomo con un miracolo, perché avevi sete di una fede nata dalla libertà e non dal miracolo. Avevi sete di amore libero, e non dei servili entusiasmi dello schiavo davanti al padrone potente che lo ha terrorizzato una volta per sempre». Per l’Inquisitore sono parole di accusa perché per lui Gesù è stato un illuso a credere alla capacità di libertà dell’uomo. Gesù, invece, è proprio convinto che noi siamo capaci di libertà profonda, è venuto per portarci davvero a questi orizzonti infiniti di libertà. È allora necessario cercare lo spirito della Legge e non la lettera della Legge (Paolo dirà: «La lettera uccide, lo Spirito dà vita»; cf 2Cor 3,6); cercare lo spirito della Legge è una fatica, mentre è più facile e tranquillizzante fermarsi alla lettera, alle mere prescrizioni esteriori. Marco qui è anche sottilmente ironico perché, a proposito dei farisei dice che essi usano dare il “battesimo” ai bicchieri, alle stoviglie ed agli oggetti di rame (per dire “lavaggi” usa infatti la parola baptismoùs!) … si preoccupano di “quel battesimo” e non del battesimo di conversione che Giovanni il Battista aveva pure chiesto (cf. Mc 1,4). Avrebbero bisogno di guardarsi dentro e di cercare un battesimo, una immersione che riguardi il profondo, invece restano all’esterno e combattono ciò che viene da fuori. Questo loro modo di fare, questa loro ossessione legalista, li rende ciechi dinanzi all’opera che Dio sta compiendo in Gesù; li rende ciechi dinanzi ad una vicinanza di Dio che sta capovolgendo la concezione di mondo in cui essi stessi vivono; una vicinanza di Dio che abbatte le barriere tra “fuori” e “dentro”, che conduce la Legge al cuore della Legge proclamando che diversamente la Legge stessa è tradita. Gesù, infatti, come dice in Matteo 5,17, «non è venuto ad abolire la Legge ma a darle pienezza» liberandola dagli inganni delle osservanze solo esteriori e riconducendo tutto al cuore dell’uomo! È quello il luogo che deve essere guarito ed in cui Dio vuole prendere dimora … è questo il compimento di quella vicinanza di cui già il Libro del Deuteronomio parlava nella Prima lettura: «Quale grande popolo ha la divinità così vicina a sé come il Signore nostro Dio è vicino a noi?».

Se non si va al cuore e si continua a temere ciò che viene da fuori, nulla di ciò sarà possibile, Dio non potrà realizzare in noi il suo sogno di vicinanza e così ci si accontenterà di lavare mani e stoviglie lasciando da parte il profondo dell’uomo, lì dove si gioca ogni nostra verità.
E questo è tremendo!

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