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Commento al Vangelo. La Croce di Cristo, il coraggio di essere ultimi una “provocazione” per tutti

Commento al Vangelo di domenica 19 settembre, XXV del tempo ordinario - Anno B

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Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano Clicca per visitare il sito 

XXV domenica del Tempo ordinario – anno B
Sap 2,12.17-20; Sal 53; Gc 3,16 – 4, 3; Mc 9,30-37

La scorsa domenica l’Evangelo di Marco ci ha mostrato come il primo annunzio della passione abbia trovato l’incomprensione, il cuore duro e l’inciampo addirittura satanico in Pietro che è radicato nelle sue idee e nei suoi sogni di “potere” e di “sapere” (Pietro vuole un Cristo potente e pretende di sapere tutto, tanto da voler insegnare a Gesù!); oggi, il secondo annunzio della passione trova ancora dei cuori duri… non ha più successo del primo! In primo luogo, il testo ci ha detto che i discepoli «non comprendevano queste parole (l’annunzio della passione) ed avevano paura a chiedergli spiegazioni»… insomma c’è un “non capire” e un “non voler capire”. Qui i Dodici non hanno scusanti in quanto Gesù, ha scritto Marco (cf. Mc 8,32), diceva queste cose circa la sua passione con parresía, apertamente, con franchezza, senza veli!

Ma sono proprio le cose dette così che spaventano e si vogliono scavalcare ad ogni costo. D’altro canto, la passione, in questo secondo annunzio, viene meglio specificata da un particolare che non è secondario: non si parla più di “anziani, sommi sacerdoti e scribi”, qui si parla di “uomini”: «Il Figlio dell’uomo è consegnato nelle mani degli uomini», il che significa che non basta non far parte di quelle categorie storiche per essere innocenti in questa storia di dolore del Figlio dell’uomo! Sono gli uomini i destinatari di quella “incomprensibile” consegna da parte del Padre; sì, perché è il Padre il “consegnatario”: se infatti gli uomini sono i destinatari ed il Figlio dell’uomo è l’oggetto, Colui che consegna è solo il Padre. Il Padre che lo ha già consegnato agli uomini nell’Incarnazione, che lo ha già consegnato agli uomini come Parola definitiva (cf. Eb 1,1-4), ora lo consegna come estremo dono all’umanità ma gli uomini ne faranno ciò che vorranno, fino ad ucciderlo appendendolo ad una croce. Gli uomini: tutti gli uomini! Nessuno escluso!

Non sono stati né Giuda, né quegli Ebrei, né il Sinedrio, né Pilato con i romani… sì, loro hanno fatto la loro parte materialmente e storicamente, ma sono le mani di tutti gli uomini ad essere macchiate del suo sangue che, paradossalmente, ha lavato e salvato tutti! Tutto questo mistero di amore, però, resta chiuso proprio per il cuore di quei Dodici che sono i più vicini a Gesù. Marco sottilmente (forse non tanto, bisogna solo fare attenzione e capire le concatenazioni che ci sono!) ci dice qui il perché: non può capire l’amore chi è teso a cercare primati, privilegi e potere. Dice il testo dell’Evangelo che i Dodici sono per via (un’espressione importante che ci richiama alla nostra quotidianità, al nostro essere “per via” nella sequela di Cristo) ma invece di seguire davvero Gesù che va alla consegna, seguono se stessi, le loro idee, i loro miseri deliri di potere… Pietro avrà anche obbedito e sarà tornato “dietro” a Gesù come gli era stato detto («Torna dietro a me!»…cf. Mc 8,33), ma è rimasto con il cuore lì dove era andato e cioè davanti a Gesù a sbarrargli il passo e ad insegnargli come doveva fare il Messia! Pietro e gli altri pensano che il Cristo debba essere potente perché vogliono gustare una fetta di quel potere! “Chi è il più grande tra noi?” “Chi comanda?”

Continuano a non capire e, in questo secondo annunzio della passione, Marco ci mostra che questo non capire non è solo teorico; l’Evangelista, infatti, ci mostra un modo concreto, pratico dell’incomprensione: cercano i primi posti. Volere i primi posti, voler apparire, volersi imporre sugli altri sono cose che mostrano quanto si sia lontani dalla via che Gesù ha imboccato. Loro vogliono i primi posti. Quello che Gesù diceva è per loro inaccettabile, incomprensibile. Una cosa però certamente l’avevano capita: Gesù non la pensava così; lo considerano strano? Sono convinti di riuscire pian piano a fargli cambiare idea? Certo alla domanda circa la natura dei loro discorsi essi tacciono. Si vergognano? Non vogliono affrontare il discorso? Non vogliono ancora sentirsi dire, con franchezza, quelle cose che tanto li turbano e che vogliono distoglierli dai loro sogni di potenza?

Gesù è paziente e comunica ancora ai suoi, con delle parole e con un gesto, le vie incredibili e paradossali che vuole e deve imboccare; ecco le vie incredibili di Dio: loro, i discepoli, desiderano i primi posti, Gesù desidera l’ultimo posto! Quel bambino che Gesù pone al centro abbracciandolo, è segno non di innocenza, ma dell’ultimo posto che Lui vuole abbracciare per indicare al mondo le vie del Padre. Gesù abbraccia, accoglie quell’ultimo posto, quello che occupano i bambini, del tutto dipendenti e fragili; d’altro canto i bambini nell’Evangelo di Marco, fino a questo momento, erano apparsi, incredibilmente, sempre in vesti non solo fragili ma anche “impure”: bambina è la figlia di Giairo nell’impurità della morte(cf. Mc 5,42), bambina è la figlia della donna siro-fenicia, impura perché posseduta da un demonio (cf. Mc 7,30), bambino è l’epilettico ai piedi del Tabor con le sue manifestazioni disumane (cf. Mc 9, 23ss), tutti, secondo le categorie culturali dell’epoca, impuri per motivi diversi.

Il bambino che qui Gesù abbraccia è icona della condizione del servo, è icona di im-potenza (in greco paĩs significa “bambino” ma anche “giovane schiavo”). Ai discepoli che sognano potenza Gesù presenta un’icona di impotenza dicendo che chi accoglie quella debolezza, quella fragilità nel suo nome accoglie Lui stesso e, paradossalmente, Dio… e qui Marco è di una forza straordinaria in quanto ci mostra che all’ultimo posto c’è addirittura Dio! Quel bambino è dunque icona delle scelte di Dio e quindi delle scelte del Figlio dell’uomo! Essi sono disposti ad accogliere questa debolezza? Accogliere significa ascoltare, significa rendersi disponibili, ospitare, mettersi al servizio… accogliere significa innanzitutto essere disposti a farsi “capovolgere” da colui che si accoglie, dai suoi bisogni…l’esempio del bambino che Gesù fa richiama a chi non conta nulla, che nessuno ascolta, che tutti trascurano… accogliere il bambino è segno dell’accogliere un Dio che sulla croce si farà impotenza, si renderà “inascoltabile” da ogni mente piena di buon-senso o di immagini “religiose” … di un Dio che per accogliere noi piccoli e peccatori non esita di salire su una croce che lo fa peccato in nostro favore (cf. 2Cor 5,21).

Nel passo della Lettera di Giacomo, che è oggi la Seconda lettura, leggiamo che nell’uomo sorgono guerre e liti che derivano da passioni che “combattono” dentro di lui… è il desiderio di possedere e di dominare che è radice di tutti i dolori e lacerazioni che gli uomini si infliggono; il Figlio dell’uomo è venuto per rendere possibile nell’uomo la sapienza che viene dall’alto, che rende simili a Dio: «Pacifici, miti, arrendevoli e pieni di misericordia»… che rende veri, «privi di ipocrisia», cioè privi di finzione (in greco Giacomo scrive aniupócritos e, in greco iupocritós è l’attore, uno che veste dei panni che non sono suoi, che finge di essere un altro). Le strade di morte e dolore, ci dice Marco, sono vinte solo da chi sceglie l’ultimo posto. Un ultimo posto che però non è una scelta solo simbolica, esteriormente umile (ipocrita!), ma realmente umile perché diviene servizio, diviene chinarsi innanzi agli altri; Gesù ha detto infatti: “Chi vuole essere il primo sia servo di tutti”. Questo è possibile solo se si accoglie la piccolezza. È la sola via per accogliere Lui, per accogliere il Padre. Diversamente si imboccano strade diaboliche di divisione e di morte, di ricerca di sé ad ogni costo, si spasmodici desideri di primati per dominare gli altri.

Cristo ha scelto il posto dello schiavo crocefisso. Che la sua Chiesa, abbia sempre il coraggio di capire questa parola, quella della croce (cf. 1Cor 1,18), abbia il coraggio quotidiano di fare a Lui domande su come vivere questo coraggio di essere ultimi. È per noi tutti una grande provocazione: essere ultimi. Ma per davvero!

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