Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
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XXIX domenica del Tempo ordinario – anno B
Is 53,2.3.10-11; Sal 32; Eb 4,14-16; Mc 10 35-45
Eccoci alla terza libido: il potere.
Forse, e senza forse, è un culmine… questa forza è culmine perché serve a costruirsi in quanto, esercitare una sorta di potere su se stessi, sulla storia, sul reale, è punto di equilibrio e di capacità di essere quell’adam uscito dalle mani del Creatore perché domini sul creato, sul reale… un dominio che non è un rendere schiavo il reale ma trasfigurarlo per umanizzarlo, per renderlo casa dell’uomo; allo stesso modo il potere su se stessi è quella capacità di dire di no a quelle dimensioni di morte e di “pre-dominio” che sono perverse e pervertenti; riguardo agli altri il potere da esercitarsi rettamente è ciò per cui si è capaci di affermare la propria identità senza paure, senza infingimenti, senza svilirsi.
La forza della libido dominandi però può essere anche il culmine delle perversioni dell’uomo. Quando questa forza diviene idolatrica, fine a se stessa, quando ha per fine noi stessi, diviene la causa principe di ogni male ed ha spremuto lacrime e sangue alla nostra comune umanità. È la libido dominandi che scatena le tirannidi, è la libido dominandi che scatena le forze delle maggioranze sulle minoranze per annientarle ed umiliarle, è la libido dominandi, in fondo, che “infetta” l’uomo facendogli pervertire l’amore (l’altro così diviene, anche nelle relazioni coniugali ed amicali, oggetto del mio potere!); è sempre la libido dominandi che disumanizza la relazione con le cose (voglio possedere per avere più potere e voglio possedere sempre di più per avere ancora più potere!). È la libido dominandi che ha sempre scatenato le guerre, gli odii razziali, le mille e mille battaglie per creare nemici e per divenirne vincitori!
L’Evangelo di questa domenica ci dice che questa libido così pervertente abita anche la Chiesa di Cristo! Giacomo e Giovanni sono il “luogo” in cui si mostra questa pericolosa tendenza; proprio i due fratelli che il Nuovo Testamento individuerà quali “discepolo amato” (cf. Gv 13, 23) e primo tra gli apostoli a versare il sangue per Cristo (cf. At 12, 1-2)! Giacomo e Giovanni non sono nati “discepolo amato” e “martire per Cristo”… sono stati uomini che, come noi, hanno dovuto affrontare e vincere, tra lotte e cadute, quelle dominanti che vogliono schiacciarci e disumanizzarci. Nel racconto di Marco i due, in fondo, sono manifestazione di un atteggiamento con cui Gesù dovrà fare i conti sino alla fine e con cui la sua misericordia e la sua grazia devono fare i conti in ogni epoca della storia della Chiesa, sua comunità: chi è che è primo? Chi “comanda”? Chi ha nelle sue mani il “potere spirituale” sugli altri? Il potere nella Chiesa è più perverso che altrove. Il perché è chiaro: nella Chiesa, nelle società “religiose”, esso si può ammantare di “spiritualità”, si può ammantare di Dio, può divenire più facilmente imponibile perché sacralizzato! È tremendo!
Giacomo e Giovanni sono quelli che, nel passo di Marco di oggi, manifestano questo desiderio perverso di potere, ma il racconto ci fa capire che gli altri dieci non sono esenti da quello stesso peccato. Scrive infatti Marco che gli altri si sdegnarono con Giacomo e Giovanni e non certo perché stigmatizzassero il loro desiderio di potere ma perché quel potere lo avrebbero voluto anche loro. Gesù, paziente, si rivolge a tutti come aveva parlato ai due fratelli. Quei due li aveva sfidati a bere il suo stesso calice ed a morire della sua stessa “immersione”; è qui necessario decodificare la parola “battesimo” che noi, immancabilmente, riconduciamo su di un piano liturgico-simbolico-sacramentale; infatti Gesù chiede loro se sono pronti a lasciarsi “affogare” nella sua stessa immersione, a dare la vita… il battesimo-immersione che Gesù sta per ricevere è l’essere sommerso dal peccato del mondo per prenderlo su di sé, per condividere il dolore e la morte che imperano nella storia. I due fratelli accolgono spavaldi la sfida ma non comprendendo fino in fondo quello che stanno promettendo; lo capiranno con la vita, lo capiranno nella sequela di quel Rabbi che li ha afferrati; saranno, infatti, il primo e l’ultimo a morire per Lui: Giacomo di spada e Giovanni di “consunzione”, lasciandosi cioè consumare dall’annunzio dell’Evangelo in un martirio senza sangue, ma testimone di un “rimanere” costoso che sfiderà i venti e le tempeste dei decenni a venire. Quella partecipazione al suo calice, afferma con forza Gesù, non è qualcosa che si conquista con dei meriti, ma qualcosa che si riceve in dono, per pura grazia. Nell’ora che il Regno verrà, alla destra ed alla sinistra del Messia crocefisso, vi saranno due ladroni: gli ultimi che potevano accampare “meriti”!
A i dodici tutti assieme, dopo aver compreso che tutti sono accomunati da questo malsano desiderio di potere, Gesù dice una delle parole più inascoltate nella storia della Chiesa, ma anche tra le più ascoltate da chi, nella Chiesa, ha fatto davvero la differenza facendo avvertire nella storia il profumo di Evangelo: «Quelli ritenuti capi delle genti le dominano ed i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra di voi però non è così!». Dobbiamo assolutamente sottolineare che Gesù non usa qui nessuna forma augurale o ottativa (non dice “tra voi non sia così”!). No! Gesù usa un chiaro indicativo: «Tra voi non è così!». Insomma: o nella Chiesa si è servi così come Gesù dice o non si è Chiesa, si è altro!… La ragione non è data in modo moralistico (Gesù non è mai moralistico!) ma in modo rivelativo: la ragione è Gesù stesso, la ragione è il Figlio dell’uomo e la sua scelta di servire e in più di servire non facendo delle cose, ma dando la sua vita! Il servo è tale – e lo dice anche Isaia nel celebre oracolo che oggi è la prima lettura – perché dà se stesso e senza nulla tenere per sé, senza nulla risparmiare!
L’antidoto alla libido dominandi è dunque il servire che è donare la propria vita. L’apostolo Paolo, addirittura, nel suo inno cristologico nella Lettera i cristiani di Filippi scriverà che il Figlio di Dio si è fatto «schiavo fino alla morte e alla morte di croce»; schiavo significa che si è totalmente dato, alienato, offerto… non si appartiene più! Lui è la via per vincere la libidine del potere… Lui, lo schiavo crocefisso!
Questa sezione dell’Evangelo di Marco ci ha consegnato le tre “armi” per vincere il mondo con Gesù e come Gesù: l’amore fedele, la condivisione, il servizio come dono totale di sé! Così la sequela! Quel che non ricerca queste vie è qualcosa che si maschera da cristianesimo, ma ne è solo una contraffazione ridicola e pervertita!