Noemi Riccitelli – Tra le ultime novità del mese di ottobre proposte da Netflix c’è un film italiano: Mio fratello, mia sorella di Roberto Capucci.
Disponibile sulla piattaforma streaming dall’8 ottobre, il film è uno dei prodotti nati dalla collaborazione tra Netflix, appunto, e Mediaset.
Nik (Alessandro Preziosi) e Tesla (Claudia Pandolfi) sono due fratelli che non si vedono da circa vent’anni. Si ritrovano al funerale di loro padre, un noto docente di fisica, il quale nel suo testamento ha dichiarato di lasciare loro la sua casa, in cui dovranno però vivere insieme.
Una scelta difficile per i due che hanno stili di vita completamente diversi: Tesla ha due figli, di cui uno, Sebastiano (Francesco Cavallo), affetto da schizofrenia, e Carolina (Ludovica Martino), in continua sfida e contrasto con la madre.
Nik, invece, è uno spirito libertino e non avvezzo a regole e organizzazione.
Le vicende di venti anni di vita non condivisa, con tutti i non detti, pensieri, disagi, sofferenze, acuiscono la difficoltà della convivenza di Nick e Tesla, ma l’amore che li lega riesce a fare breccia nel muro di diffidenza e tensione che li divide.
Sebbene la trama del film non risulti particolarmente originale, essa ha il pregio di suscitare alcune riflessioni interessanti riguardo dinamiche e sentimenti familiari e affrontare un tema delicato, come quello della malattia, specie in giovane età.
Tuttavia, la sceneggiatura non riesce a coinvolgere a pieno lo spettatore: gli avvenimenti, infatti, tendono a sembrare poco realistici, l’azione si svolge, spesso, in modo precipitoso e alcune scene appaiono, a volte, sopra le righe.
Il cast di Mio fratello, mia sorella risulta valido e, a suo modo, convincente: Alessandro Preziosi e Claudia Pandolfi nel ruolo dei due protagonisti offrono una performance solida, coerente con i personaggi interpretati, confermando la maturata esperienza attoriale.
Gli altri interpreti, pur dando prova di una buona prova artistica, non riescono ad entrare in empatia con chi guarda.
Nel complesso, il film non rimane memorabile e, per quanto le vicende narrate possano dirsi comuni per molti, non sussiste quello slancio emotivo che induce uno spettatore a sentirsi compreso o ispirato dalla pellicola.