Alessandro Di Medio – Pregare per tutti i defunti, come facciamo nell’odierna ricorrenza, significa allargare i confini dei nostri cuori, e ricordarci che alla tavola del Padre, nella famiglia di Dio, ci sono tanti altri che magari in vita sono stati dimenticati da tutti, forse addirittura schifati e schivati, morti di freddo e di mare, di miseria e sfruttamento, morti di cui non ci importava quando erano vivi, e che però la Chiesa ci impone di trattare come fratelli almeno oggi, adesso che sono morti, nella speranza che un giorno proprio costoro possano accoglierci nella Casa del Padre, invitandoci dal suo interno a unirci a loro nella pace.
Il 2 novembre i morti, deformati e demonizzati dalla variante malata della globalizzazione due giorni prima, tornano a riprendere la loro dignità, e vengono commemorati da tutti i fedeli che ancora non hanno aderito alla loro ben più ampia comunità.
Ma che vuol dire “commemorare i defunti”?
Anzitutto, non vuole certo dire “ricordarli a me stesso”. La memoria ha sede nel cuore, e quelli che ho nel cuore me li ricordo bene, anzi, nel caso abbiano lasciato questo mondo forse me li ricordo ancora meglio, perché hanno lasciato una cicatrice che si fa sentire. Tanto meno, “commemorare i fedeli defunti” può significare “ricordarli ad altri”. Se questi altri hanno conosciuto la persona defunta in questione, non c’è bisogno che alcuno gliela ricordi; se non la conoscevano, non si tratta di ricordargliela, ma semmai di fargliene conoscere qualche aspetto, qualche evento di quando era in vita – come avviene nel caso delle commemorazioni nel senso civile, laico del termine, in cui le gesta di qualche persona esemplare vengono presentate alle nuove generazioni (così bisognose di memoria!) perché ne emulino auspicabilmente l’esempio.
Siamo però ancora lontani dal significato della commemorazione dei defunti, così come la intendiamo nella fede: anche perché spesso i nostri cari defunti sono (stati) persone feriali, ordinarie come noi, di cui più che commemorare eventuali gesta, vogliamo custodire nel cuore una costellazione di gesti, piccoli e feriali, teneri e cari.
No, il senso della commemorazione dei defunti va cercato nel contesto della celebrazione che li commemora, appunto – e così forse capiremo anche l’importanza e il valore di “far dire le Messe” per i morti, pratica da riscoprire quanto mai oggi, dato che si attenua sempre più il senso della comunione tra vivi e morti, e del valore del suffragio.
Dunque la commemorazione dei defunti si comprende nel quadro del memoriale, termine con cui definiamo la celebrazione eucaristica; non mera rievocazione storica, simbolica, di quanto ormai è nel passato, ma presenza operativa ed efficace di un evento del passato. Come la luce di una stella spenta ormai da millenni ci raggiunge oggi attraversando con la sua velocità il tempo, così un evento irrevocabilmente nel passato, per opera dello Spirito Santo, si rende a noi contemporaneo, compresente, attraverso i segni del rito: quando partecipiamo alla Messa diventiamo contemporanei della sua Pasqua, di tutti gli eventi della sua passione, morte, sepoltura, resurrezione, glorificazione. Questa contemporaneità alla Pasqua di Cristo illumina il senso della commemorazione dei fedeli defunti: nell’Eucaristia, che è il banchetto del Regno, si radunano a mensa tutti quelli che sono in comunione con Cristo. Le persone che non sarebbero più, essendo morte, e dunque nel passato, sono ancora per questa compresenza a noi nel Regno, di cui l’Eucaristia è l’anticipo.
Commemorare i fedeli defunti significa sedere a tavola con loro nel Regno di Dio, nutrendoci tutti della vita comunionale della Trinità; i morti infatti non hanno più bisogno di mangiare (l’Eucaristia), ma hanno come noi bisogno della comunione (trinitaria ed ecclesiale) per vivere.
Qui si ribadisce una verità fondamentale, e cioè che è la comunione con Dio e tra di noi che rende tale la persona, facendola passare dalla morte dell’individualismo alla vita veramente umana perché divina, e questo, senza discriminazioni, vale per i vivi e per i morti: ci sono morti che sono davvero vivi, perché vivono la pienezza della vita divina (i nostri amici Santi, che abbiamo celebrato l’1); ci sono vivi che non sono altro che cadaveri ambulanti, perché rinunciando all’amore e chiudendosi ai fratelli, sono di fatto morti.
Pregare per i nostri cari defunti è un modo per stare ancora un po’ con loro qui, in attesa di poterli ritrovare nel Regno, nel giorno della resurrezione finale.
Pregare per tutti i defunti, come facciamo nell’odierna ricorrenza, significa allargare i confini dei nostri cuori, e ricordarci che alla tavola del Padre, nella famiglia di Dio, ci sono tanti altri che magari in vita sono stati dimenticati da tutti, forse addirittura schifati e schivati, morti di freddo e di mare, di miseria e sfruttamento, morti di cui non ci importava quando erano vivi, e che però la Chiesa ci impone di trattare come fratelli almeno oggi, adesso che sono morti, nella speranza che un giorno proprio costoro possano accoglierci nella Casa del Padre, invitandoci dal suo interno a unirci a loro nella pace.
Fonte Agensir