L’ora tinta – Piccolo prontuario di medicina familiare è il titolo dell’opera a firma del professore Giuseppe Castrillo: 24 racconti che evocano vicende di vita familiare e ricordi personali dell’autore. Per la rubrica Medio Volturno tra Moderno e Contemporaneo questa settimana vi proponiamo la lucida analisi del volume dello scrittore Alberico Bojano.
I racconti del piccolo prontuario della memoria
di Alberico Bojano
La tentazione di redigere le proprie memorie è patologia endemica. Andrea Camilleri ha descritto la moltitudine di diari mai pubblicati, stipati in un salone dell’archivio comunale di Vigata. Di recente Giuseppe Castrillo ha dato alle stampe 24 racconti che partono dalle vicende ascoltate in famiglia, e avanzano in ordine cronologico fino a recenti ricordi personali. Uomo di lettere, studioso, ricercatore e saggista, Castrillo possiede gli strumenti per svincolarsi dalla diaristica più banale; soltanto dopo aver coltivato in maniera fruttuosa la memoria è approdato a questo volume, che si muove tra le immagini del mondo familiare.
Lo stile
Una prosa ricca e ricercata, ma non opulenta, contraddistingue L’ora tinta – Piccolo prontuario di medicina familiare. Una prosa che conduce fin da subito in descrizioni di paesaggi e luoghi senza mai scadere nel prolisso, tenendosi in equilibrio tra la cultura classica, che occhieggia dalle pagine, e il vincolo al dialetto territoriale, che l’autore nobilita riscoprendo il lessico variegato che costella il mondo agricolo, l’ambiente dei carbonari o quello pastorale. Nelle pagine si incontra anche un uso alternativo, poetico dei termini. Valga l’esempio descrittivo di una pubblica manifestazione in piazza accompagnata da un lacerto di banda musicale, dove nel sostantivo lacerto è concentrata la provvisoria frammentarietà della banda di paese.
I temi
Il cibo è uno dei protagonisti ricorrenti dei racconti di Castrillo. I piatti cucinati dalla moglie del medico, le pietanze di Pasqua portate in valigia fino a Siena per dare allo studente il sapore della festa che la lontananza impedisce, oppure ancora il grande pranzo della trebbiatura, hanno la facoltà di diventare per il lettore momenti evocativi di personali esperienze di analoghi gusti e aromi. Altro significativo protagonista è il padre, una presenza indispensabile dalla cui ammirata subordinazione sembra difficile affrancarsi anche nei racconti più maturi.
Il tessuto storico è il supporto su cui, opportunamente, scorrono le vicende narrate. Il conflitto sociale tra pochi benestanti e popolo minuto, l’emigrazione, l’ottusa rigidità di gerarchi di provincia, il trasformismo che muta i fascisti in democristiani, il boom economico con la 500 e il sottofondo di Patti Pravo, gli studenti fuorisede, fino agli echi degli scontri con la celere a Valle Giulia sono le tappe di un itinerario della memoria, che Castrillo rievoca come scorressero immagini di filmati in bianco/nero. Piuttosto che circoscriversi al nostalgico rammentare di uno storiografo dei ricordi, Castrillo predilige il registro delle sensazioni, di modo che gli episodi esposti veicolano emozioni di un comune vissuto.
L’ambientazione
Il testo ha una dimensione provinciale. Anche quando il set narrativo è spostato in episodi ambientati a Roma, a Siena, a Napoli, resta sempre felicemente collocato in una dimensione localistica che, anziché circoscrivere, definisce e connota la tipicità della cultura locale delle vicende italiane del secolo passato. Così che gli echi della campagna piemontese o molisana, da Arpino a Pavese, da Alvaro a Iovine, si avvertono qui nei racconti di Castrillo che, nel loro complesso, narrano il mondo agricolo, familiare e circoscritto di una qualsiasi provincia d’Italia del ventesimo secolo. Un libro che, per dirla con Zygmunt Bauman, dalla dimensione locale del suo agire regala un glocalismo gradevole, inatteso e proficuo.