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Due donne – Passing: bianco e nero per un’intima riflessione declinata al passato, ma più che contemporanea

Il film di Rebecca Hall, presentato prima al Sundance e poi a Roma, è disponibile su Netflix dal 10 novembre

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Noemi Riccitelli – Presentato al Sundance Film Festival nel gennaio 2021, una delle più note e importanti manifestazioni dedicate al cinema indipendente, e poi qui in Italia, ad ottobre, in occasione della Festa del Cinema di Roma, Due donne – Passing, con la regia dell’attrice Rebecca Hall, qui al suo esordio da regista, è disponibile dal 10 novembre su Netflix.
Il film, tratto dal romanzo omonimo di Nella Larsen, pubblicato nel 1929, affronta un tema delicato, quello del “racial passing”, letteralmente, il “passaggio razziale”: una pratica diffusa nel ‘900 negli Stati Uniti, per la quale cittadini afro-americani dalla carnagione chiara, come individui mulatti o creoli, comunque non appartenenti alla classe bianca dominante, si facevano passare per “bianchi”, abbandonando completamente le loro origini, famiglia compresa, sfuggendo così alle discriminazioni e alle violenze ricorrenti nella società americana verso la loro discendenza.

Nella New York degli anni ’20, Irene (Tessa Thompson) e Clare (Ruth Negga), ex compagne di scuola, si ritrovano fortuitamente in una elegante sala da tè della città.
L’aspetto di entrambe ha sempre mascherato i tratti più evidenti delle loro origini afroamericane, ma Irene nota che Clare ha notevolmente accentuato le caratteristiche che hanno definito il suo definitivo passaggio all’essere considerata bianca: ha tinto i capelli di biondo e, soprattutto, ha sposato un banchiere bianco di Chicago, John (Alexander Skarsgård).
Questo, l’ha portata a rinnegare completamente le sue radici e la sua vera identità.
Irene, invece, è la moglie di un medico nero, Brian (Andre Holland) e con lui vive ad Harlem, storico quartiere della comunità afroamericana, dove vive a pieno la sua cultura.
L’incontro tra le due donne innesta profonde riflessioni sulle scelte di vita compiute da entrambe, mettendo in crisi il loro vissuto, ciò che hanno sempre pensato di sapere, segnando così i loro destini.

La regista Rebecca Hall, che ha curato anche la sceneggiatura del film, realizza un dramma intimo, anche perché riguarda la storia della sua stessa famiglia: suo nonno materno, infatti, è stato uno dei tanti coinvolti nel passaggio di razza.
Tuttavia, vicenda personale a parte, Passing porta sullo schermo una condizione particolarmente delicata, ingiusta nella sua tragicità: l’essere costretti a rinnegare la propria identità pur di sopravvivere, diventare alter ego di sé stessi.
Pur se lo specifico fenomeno del racial passing appare sconosciuto ai più, e ha interessato un preciso momento della storia, il tema rimane cogente, più che attuale e lega a sé anche i concetti di genere e classe.
Infatti, le protagoniste sono due donne, e questo già le relega a una posizione di inferiorità per il tempo che vivono, ma al tempo stesso, appartengono ad una classe privilegiata, percependo quindi in misura minore le più negative conseguenze legate alla loro origine; questo, appunto, anche per l’aspetto esteriore che “scherma” le loro vere radici.

La caratteristica estetica più evidente del film è la scelta del bianco e nero, non casuale ovviamente: infatti, se la narrazione vede il suo fulcro nella riflessione sul colore della pelle e la scelta di annullarlo, ridefinirlo, la regista crede che proprio il b/w possa enfatizzare al meglio il senso della pellicola. Una zona grigia, di ombre e metà.

Le due protagoniste, Tessa Thompson e Ruth Negga, brillano in queste sfumature, offrendo una performance curata, in cui ogni gesto è misurato: è impossibile distogliere lo sguardo dai loro volti (questo anche grazie all’inquadratura 4:3), nei quali si leggono le inquietudini delle due donne, e la cui tensione ed energia è ravvisabile in movimenti corporei sapientemente definiti.
Le donne si attraggono e respingono al tempo stesso, è percepibile il filo magnetico in cui si trovano avviluppate insieme.

Nel complesso, Passing è un film interessante, problematico: tuttavia, l’eleganza, quasi manierismo, di cui lo stile della pellicola è intriso tende a svilire, in parte, il sentimento e il coinvolgimento che la storia avrebbe potuto trasmettere in misura maggiore.
La visione, in ogni caso, è consigliata, sia per i temi che continuano a legare (drammaticamente) passato e presente, e per l’impegno artistico profuso da tutto il cast e la neo-regista Hall.

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