La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che si celebra il 25 novembre, è un’occasione in più per fare il punto su quella che, specie negli ultimi anni, si sta rivelando una emergenza sociale di non poco conto. A dircelo sono i dati, a dir poco drammatici: ogni giorno, in Italia, almeno 89 donne subiscono violenza, minacce, botte, vessazioni fisiche e psicologiche, mentre nell’ultimo anno sono 109 le vittime finora accertate di femminicidio, con un aumento dell’8% rispetto al 2020; nel 36% dei casi il killer è il marito od il convivente, mentre in un caso su tre la donna uccisa lascia, come vittime indirette, i propri figli da soli. Ed è di qualche giorno fa la notizia che il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese vuole portare in Consiglio dei Ministri, la settimana prossima, un pacchetto di provvedimenti volti ad inasprire norme e rafforzare misure cautelari e di prevenzione (come braccialetto elettronico e maggiori controlli). Lo stesso Ministro per il Sud, Mara Carfagna ha assicurato che una fetta dei fondi del Piano nazionale di Ricostruzione e resilienza sarà indirizzata alla riqualificazione dei Beni confiscati alla malavita, quest’ultimi destinati anche a centri antiviolenza.
Necessità di interventi immediati. Le misure appena accennate possono rivelarsi un valido deterrente nel tempo, ma nell’immediato non bastano, perché è risaputo che una donna sfuggita all’assalto di un bruto ha bisogno di interventi tempestivi, che mirino a metterla subito al sicuro.
Anna Maria Pilozzi, vice presidente della Onlus La Caramella buona (di cui abbiamo parlato qui), è della stessa opinione “Il recente rafforzamento della normativa attraverso la legge Codice rosso, prevede che una donna venga sentita entro tre giorni dal compimento o da un tentativo di violenza. Ma nel frattempo essa non può tornare a casa, anche perché spesso ci sono famiglie che non condividono la scelta di denunciare e quindi queste donne si ritrovano isolate.”
Come fare allora per ovviare al problema? La soluzione è stata trovata proprio da La Caramella buona circa 12 anni fa. “La molla che ci fece agire – ci riferisce la vice presidente Pilozzi – fu quando una nostra collaboratrice rimase vittima di un compagno violento, al punto da dover scappare di casa per evitare di essere massacrata. Una dozzina di anni fa (ed in parte ancora oggi) non c’era prontezza di ospitalità e supporto psicologico, in particolare mancava una struttura di emergenza che potesse ospitare la vittima prima che gli uffici di assistenza sociale si mettessero effettivamente in moto. Fedeli al motto volere è potere, prendemmo un appartamento in affitto e lo allestimmo grazie a diversi donatori. In Emilia Romagna e Lazio sorsero cosi le Case buone, appartamenti in grado di accogliere ed ospitare nella primissima fase di emergenza sia le donne vittima di violenza che i loro bambini.”
La storia. La vice presidente Pilozzi a questo punto ci racconta alcuni episodi recenti “L’ultimo caso di ingresso in emergenza lo abbiamo vissuto due mesi fa, quando la Questura di Colleferro ci segnalò una donna vittima del compagno, non solo violento ma anche socialmente pericoloso e già noto alle Forze dell’Ordine. Erano passate le 19.00 e tutti gli uffici preposti erano ormai chiusi, per cui procedemmo a portarla in una delle nostre Case buone, dove rimase per tre notti, nella più totale sicurezza (anche perchè rischiava di essere uccisa a colpi di accetta). Quando è arrivata da noi, non aveva nemmeno il cambio, per cui abbiamo provveduto noi a tutto l’occorrente” e quando la vicenda ha cominciato a concretizzarsi in un procedimento giudiziario e la donna ha lasciato la struttura “è stata una soddisfazione, vederla uscire con la valigia carica.
Gli obiettivi. Questo è ciò a cui La Caramella buona mira: rimettere queste donne in condizione di affrontare un nuovo percorso di vita, rispettoso della propria dignità. Noi accudiamo queste donne, cerchiamo di capire la loro situazione e da lì ci muoviamo, tenendo presente anche la loro condizione di madre, se ci raggiungono con dei figli al seguito. Ci fu un caso, qualche tempo fa, di una donna che fu ospitata in emergenza con dei figli: quando si misero a dormire, tutti insieme nel lettone ed io passai per dare loro la buona notte, uno dei bambini di circa 5 anni spuntò con il nasino fuori dalla coperta e mi chiese di chiudere bene la porta, così che il papà non potesse entrare. Solo vivendo queste esperienze si può capire l’entità del dramma. Quando donne e bambini arrivano da noi, sembrano pulcini bagnati, spauriti ed in cerca di riparo e speso c’è bisogno di fare un lavoro certosino per fare capire ad alcune di esse d’esser state fin lì manipolate dai propri carnefici.” Infine, Anna Maria Pilozzi ricorda “La nostra associazione lavora incessantemente per garantire soluzioni tempestive e gratuite per le vittime e si appoggia esclusivamente sulla generosità dei suoi benefattori e sostenitori (clicca qui per le modalità di aiuto). Essa promuove anche due eventi annuali a Napoli (l’ultimo lo scorso 13 novembre al Palapartenope), volti a sensibilizzare ed anche a ringraziare tutte le persone che ci aiutano. Accogliere queste donne e bambini lascia segno talmente forte che quando ne arrivano altri è sempre un’emozione nuova, perché ciascuno di essi porta una esperienza ed una sofferenza diversa ma anche la stessa esigenza di scappare via da una vita infernale per costruirne un’altra migliore. E noi cerchiamo di fare tutto il possibile affinchè accada.”