Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
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II domenica di Avvento
Bar 5 1-9; Sal 125; Fil 1 4-6.8-11; Lc 3,1-6
In questa seconda domenica la speranza di Avvento assume i toni della profezia. Domenica scorsa la Scrittura ci diceva che la speranza è custodita dalla vigilanza, oggi ci dice che è necessaria la profezia per dilatare la speranza. La profezia… ecco perché oggi campeggia la figura del Battista che può apparire piccolo se confrontato con lo sfondo grandioso che Luca usa per farlo entrare in scena, ma che risulta grande se si tende l’orecchio alla sua voce che grida la profezia, alla sua voce che, in fondo, pronunzia una parola di giudizio, su quello stesso scenario.
Lo scenario che Luca ci mostra è grandioso perché vuole inquadrare gli avvenimenti di salvezza in un preciso quadro storico; in primo luogo, per non disgiungere mai il piano di salvezza dal concreto piano storico. La salvezza è opera di Dio che irrompe nella storia, in una storia concreta con le sue contraddizioni, in una storia connotata dalle solite dinamiche di potere e politico e religioso. Luca parte dal “grande” per arrivare al “piccolo”, al particolare; infatti, parte da Tiberio Cesare per passare per Pilato e per giungere a quei piccoli tirannelli che sono Erode Antipa ed i suoi fratelli, per giungere ancora al potere religioso di Gerusalemme nelle persone dei sommi sacerdoti Anna e Caifa… su questo sfondo Luca staglia il Battista. Il suo ingresso in scena però è dovuto non ai soliti meccanismi mondani ma ad un evento preciso di altra natura: la Parola di Dio che avviene su di lui… ed avviene nel deserto (in greco eghéneto).
In tal modo Luca cambia lo scenario: dai grandiosi palazzi dei poteri umani, dalle città del potere, alla regione desertica che circonda il Giordano nel quale Giovanni immerge chi cerca perdono, chi cerca conversione, chi cerca di volgersi verso il Signore, di tornare da Lui. Questo movimento di ritorno è però un movimento che compie Dio stesso, è il movimento di ritorno del Signore che va ad incontrare il suo popolo; se il suo popolo lo cerca e si lascia immergere da Giovanni, il Signore già lo aveva cercato tanto che aveva fatto cadere la Parola su Giovanni figlio di Zaccaria (ricordiamo che “Giovanni” significa “Dio fa misericordia” e “Zaccaria” significa “Il Signore ricorda”!) che, fin dal grembo di sua madre, è chiamato a preparare i cuori a quella venuta del Signore (cf. Lc 1,17).
Luca cita un testo del libro di Isaia nel quale vede la prefigurazione di ciò che stava accadendo nel deserto; è la stessa citazione che già Marco e Matteo avevano posto come chiave per leggere la missione di Giovanni; Luca però aggiunge anche il versetto 6 del capitolo 40 di Isaia in cui ritorna all’universalità: «Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio». Aveva cominciato con uno sguardo su tutto il mondo (l’impero di Tiberio Cesare) ed ora conclude di nuovo con uno sguardo ampio: «ogni uomo». Ciò che accade nel deserto di Giuda in quell’anno quindicesimo di Tiberio (il 28-29 d.C.) riguarda tutti gli uomini, quello che il Profeta Giovanni grida nel deserto riguarda tutta l’umanità, ultima destinataria di quella profezia.
La speranza che il tempo d’Avvento vuole rinfocolare nel cuore dei cristiani è un grande tesoro e Dio vuole che i cristiani siano messaggeri di questa speranza per ogni uomo! Perché questa speranza corra, il Cristiano ha una vocazione profetica… la profezia è il compito del cristiano nella storia. Non è presuntuosa questa definizione; il discepolo di Cristo è davvero chiamato ad essere profeta per la storia e solo lui può esserlo per davvero. È profeta se, fedele alla sua identità, sarà capace di ascoltare Dio, di leggere la storia mettendosi dalla parte di Dio per ridire alla storia la Parola che è Cristo. Il cristiano è profeta non perché dice cose nuove, ma perché ridice Cristo nei vari tempi della storia, nei vari luoghi, nella varie culture… Cristo è l’ultima e definitiva parola da ridire sempre. Certamente dobbiamo sapere che è una parola che deve risuonare nei deserti impervi dell’uomo e della sua storia; dobbiamo far risuonare la parola che è Cristo nei deserti e sugli incroci confusi dei sentieri degli uomini, proprio nelle false paci che i poteri del mondo apprestano perché essi più facilmente possano essere poteri! La parola dovrà risuonare lì dove il mondo rassicura e quieta l’oltre di Dio con i suoi sogni pieni d’ogni “buon-senso” (come è diverso il “buon senso” del mondo dalla follia dell’Evangelo!); la nostra profezia di cristiani dovrebbe oggi avere la capacità di sfondare le dighe dell’indifferenza che è la più grande nemica dell’annunzio dell’Evangelo nel nostro mondo.
Il problema è che i cristiani hanno spesso derogato dalla loro missione profetica, hanno glissato su di essa, l’hanno svilita; sono diventati muti e inattivi, muti e colpevolmente insignificanti perché spesso totalmente assimilati alla mondanità e ad essa consenzienti senza mai mostrare alcuna differenza. I cristiani non dicono più la speranza alla storia perché distratti e sedotti dalle promesse del mondo che pare rispondere a tutte le attese che si possono nutrire in cuore. Anche quelli che ascoltano la parola, spesso, la dimenticano appena escono fuori dagli spazi ecclesiali o celebrativi e si assoggettano al mondo ed ai suoi ritmi e pensieri… troppo spesso i credenti si sono abituati a mimetizzarsi nel mondo assumendone i colori e gli odori… proprio come certi animali che prendono colori e forme di ciò che li circonda per non essere riconosciuti e per non rischiare!
Per essere profeti di speranza nei deserti che la storia prepara, e sempre più allarga, bisogna essere, invece, uomini e donne di fede adulta! Una fede che non tollera mimetismi né arroganze, una fede che non può più essere un sistema rassicurante ed infantile, che non può rimanere un complesso di pratiche e praticucce a cui oggi c’è uno strano ritorno che sconcerta per la sua superstiziosa e “religiosa” potenza attrattiva! Pare che tanti oggi per pregare abbiano bisogno di queste molteplici e meccaniche pratiche. Una preghiera fatta di novene e coroncine (fatta salva la buona fede e la santità di tanti, per carità!) non punta sulla maturità di una fede che «rende ragione della speranza» (1Pt 3,15). Il cristiano maturo è uno che, come il Battista, lascia che la Parola avvenga in lui, che cada sulla sua vita e lo porti lì dove vuole la Parola stessa, fino a scegliere i deserti della storia e dei cuori per proclamare un Veniente che giunge a dare senso alla storia e ad ogni storia!
Il cristiano maturo non è uno che “fa” delle cose nelle sacrestie e negli oratori per poi adeguarsi fuori alle lusinghe del mondo, della carriera, dei desideri e delle scelte del mondo. Il cristiano maturo è profeta. Di questo oggi la Chiesa ha bisogno! Più che mai!