Home Attualità Rapporto Reuters. Rispetto alle fake news cresce la domanda di buona informazione

Rapporto Reuters. Rispetto alle fake news cresce la domanda di buona informazione

La battaglia tra il vero e il falso non conosce tregua. E il campo di battaglia più cruento e insidioso è quello dei social media che hanno soppiantato, nell’industria della comunicazione, tanto la carta stampata quanto la televisione. Questa la notizia più allarmante contenuta nel Digital News Report 2021 di Reuters condotto in 46 Paesi, tra cui l'Italia

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Domenico Delle Foglie – La battaglia tra il vero e il falso non conosce tregua. E il campo di battaglia più cruento e insidioso è quello dei social media che hanno soppiantato, nell’industria della comunicazione, tanto la carta stampata quanto la televisione. Questa la notizia più allarmante contenuta nel Digital News Report 2021 di Reuters condotto in 46 Paesi, tra cui l’Italia. Stando al rapporto, la maggiore fonte di preoccupazione è costituita da Facebook (29%). Ma ancor più preoccupanti sono le fonti di disinformazione indicate dagli utenti e che inondano i social media.

(Foto ANSA/SIR)

Il vertice di questa classifica negativa è occupato dai politici nazionali con addirittura il 40% di segnalazioni. Ma non sono da meno gli attivisti (14%), i giornalisti e le persone comuni (entrambi al 13%) e infine i governi stranieri (10%). Dunque, una pluralità di fonti è all’opera nella produzione di fake news che ammorbano i social e spingono il 65% degli utenti a dichiarare di essere profondamente interessati a ciò che è vero o falso riguardo alle notizie nelle quali si imbattono in internet.

Tutto questo dovrebbe farci gridare al miracolo perché vuol dire che c’è una maggioranza assoluta di utenti del mondo digitale interessata a conoscere la verità e a disvelare il falso. Dunque, a cercare nell’informazione gli elementi necessari alla comprensione della realtà per formarsi un giudizio approfondito e motivato. Ma ciò che più sorprende è il tradimento dei chierici, ovvero di quanti hanno la responsabilità di informare. Se i politici possono vantare l’attenuante (pur discutibilissima e certamente dall’ambiguo profilo morale) della ricerca spasmodica di consensi nel tempo del presentismo, ovvero del ripiegamento totale sul presente senza una visione di futuro, che dire dei giornalisti?

Come perdonare agli operatori dell’informazione un comportamento che getta discredito su tutta la categoria, ma soprattutto avvelena i pozzi della democrazia? Ché tali sono tutti i media chiamati a svolgere un ruolo non solo di autenticazione dei fatti narrati, ma soprattutto un serbatoio di imparzialità, veridicità e garanzia democratica. Il solo dubbio che i giornalisti, una volta indicati come i cani da guardia dei poteri (di tutti i poteri), si possano prestare al gioco sporco del falso da immettere nel circuito informativo, getta un’ombra di discredito e di disdoro sull’intera categoria. E non ce la si può neanche cavare con l’artificio retorico utilizzato in questi casi: se il lettore ha intelligenza sveglia e capacità critica, ma soprattutto ha gli strumenti per verificare i fatti attraverso altre fonti, perché scandalizzarsi

Altro che mammolette, qui è in gioco un profilo deontologico insuperabile che consiste nel rispetto rigoroso della verità dei fatti così come li raccogliamo dalla nuda realtà. Ma questa situazione nuova è da ricondursi proprio alla contiguità di tanti operatori dell’informazione proprio con la politica (peraltro accentuata dal fenomeno del bipolarismo) che ha finito con l’ammorbare l’aria e il dibattito pubblico, sino al punto di spingere troppi giornalisti a perdere progressivamente la propria terzietà e a prendere partito. E cioè a forzare le notizie e soprattutto la loro narrazione, se non la loro interpretazione, agli interessi di una parte.
Senza voler scagliare accuse contro nessuno, sarà piuttosto il caso di accettare la sfida posta dai risultati del rapporto Reuters.

Fonte Agensir

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