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Commento al Vangelo di Natale. Mistero adorabile e dolcissimo, ma serissimo e compromettente

Commento alle letture bibliche di Natale

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Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano Clicca per visitare il sito 
Commento al Vangelo di Natale 
Notte
Is 9,1-3.5-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14
Aurora
Is 62,11-12; Sal 96; Tt 3, 4-7; Lc 2, 15-20
Giorno
Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18
Link alle letture

Il Dio che nessuno ha mai visto e che nessuno può vedere restando vivo (Gv 1,18; Es 53,20; Sir 43,31), in un mistero vertiginoso, nasce da donna ed è deposto in una greppia… è quel neonato (Luca userà una parola greve per designarlo: bréfos, Lc 2,16, cioè il feto appena nato nella sua crudezza di frutto di un parto fatto di sangue e dolore!), un incapace di parlare (d’altro canto questo significa il termine “infante”,  “che non parla”)… in quella mangiatoia è come gli animali incapaci di parlare… nel presepe, infatti, obbedendo ad una parola di Isaia poniamo accanto al bambino due bestie mute: «Il bue riconosce il suo padrone e l’asino la mangiatoia del suo signor» (Is 1,3) .

Ecco il mistero del Natale!

Mike Torewll, Silent night, oly night (2021)

Il Verbo di Dio, il Verbo che è Dio ha iniziato la sua precipitosa discesa verso gli inferi dove l’Adam, creato da Dio in un sogno di vita e di comunione, s’era andato a perdere… la sua discesa era iniziata nel grembo di una Vergine accogliente nella libera obbedienza, prosegue  nella grotta tenebrosa ma invasa dalla luce della gloria di Dio nella notte di Betlemme, giungerà alla tomba scavata nella roccia del giardino di Giuseppe d’Arimatea, anch’essa vergine (nessuno vi era stato ancora deposto, Lc 23,53) dove esploderà, nell’ora della Risurrezione, una luce infinita per tutto il cosmo.

Natale: mistero da contemplare nello stupore e da celebrare nella compromissione! Si celebra solo ciò che vogliamo ci contagi e ci afferri, anzi si celebra per ricevere un contagio… diversamente compiamo dei riti, sì, a volte anche suggestivi o struggenti, ma solo riti! Il rito che Cristo ci chiede è celebrazione, cioè è un dare accesso a Lui ed al suo mistero d’amore alla nostra carne, alla nostra concretissima storia.

Stanotte il profeta Isaia ha cantato nel suo oracolo una luce che brilla su un popolo chino sotto il giogo della tenebra, una luce che si identifica con un figlio che ci è stato donato… un figlio nel quale cielo e terra si uniscono, figlio della Vergine fatta di terra (le icone delle Madonne brune vogliono ricordarci che Lei, la Madre, rappresenta la terra resa feconda da Dio!) e figlio che solo Dio poteva dare al mondo («Su te stenderà la sua ombra la Potenza dell’Altissimo», Lc 1,34)!

Cristo Gesù è quella luce, una luce che le tenebre ormai non possono sopraffare (cf. Gv 1,5); egli è la luce «apparsa ad insegnarci a vivere in questo mondo», da uomini veri, «rinnegando l’empietà ed i desideri mondani ed a vivere con sobrietà, giustizia e pietà» (Tt 2,12)!

Il mondo è davvero nelle tenebre, perché vuole vivere nelle tenebre perché le sue opere malvagie non vengano alla luce (cf. Gv 3,19-20), ma in fondo il problema vero non sono quelle innegabili tenebre, ma la paura dei cristiani di dare, con la propria carne, un’incredibile buona notizia, un evangelo stupefacente: Non siamo orfani! Dio, a partire dalla nascita di Gesù, non è più un Dio lontano, riservato a qualche mistico o agli iniziati! Egli è davvero vicino! … La storia è trasfigurata per l’eternità, scrive Olivier Clèment.

Come daremo questa sconvolgente notizia? Una notizia che deve scuotere i cuori, quei cuori troppo assuefatti alle parole sul Natale, quei cuori che non sanno più stupirsi di Dio. Certamente non con luminarie e scintillii troppe volte schizofrenici perché sganciati dal loro vero, unico senso; certamente non predicando la bontà di un giorno, ma solo, solo con la propria carne offerta a Cristo perché continui ad incarnarsi! Davvero non c’è altra via; certamente è una via costosa, una via compromettente, ma è davvero l’ora di finirla con un cristianesimo a buon mercato, un cristianesimo nel quale tanti ancora pretendono di avere un’identità cristiana (e come la difendono soprattutto contro gli altri!) e poi vogliono essere come tutti gli altri popoli (cf. 1Sam 8,5.20)! Cristo ha davvero bisogno di questa nostra povera carne per continuare a narrare l’amore di Dio, ha bisogno della nostra povera carne perché il mistero incredibile del Natale continui nella storia: Dio nella carne dell’uomo!

Celebrare davvero il Natale è dare un assenso coraggioso a questa espropriazione, quella che Paolo dirà con parole stupite: «Non più io vivo, ma Cristo vive in me!» (Gal 2,20).  L’Apostolo aveva fatto l’esperienza dell’irruzione di Cristo nella sua carne: da allora niente nella sua vita era stato più come prima… e non fu l’esperienza di un giorno, ma dello stravolgimento di una vita!

Siamo disposti a questo? Se sì, celebriamo il Natale del Signore, diversamente è meglio darsi alle varie politically correct “Festa d’inverno”, “Festa delle luci” o altre neutre sdolcinature simili… il Natale del Signore è altro, è cosa serissima… sì, mistero adorabile e dolcissimo, ma serissimo e compromettente!

Il Natale vero ci mette in prima linea nella storia con tutto il coinvolgimento della nostra concretissima carne. Se l’umanità ignora Cristo noi continuiamo umilmente, senza arroganze a farlo nascere in noi ed attraverso noi… questo avverrà solo se avremo il vero coraggio di non tirarci indietro! In questo innegabile tempo di diminuzione numerica e di fine della christianitas, è davvero che ci sia un piccolo resto trasversale (fatto di preti, laici, suore, monaci, giovani, vecchi) disposti a ricominciare dall’Evangelo e senza né infingimenti, né mediocrità!

Buon Natale!

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