Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano
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II domenica del Tempo ordinario – Anno C
Is 62,1-5; Sal 95; 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-12
Dal giorno dell’Epifania abbiamo contemplato le tre epifanie di Dio in Cristo Gesù: la prima ai Magi segno di tutte le genti chiamate all’incontro con Lui (cf. Mt 2,1-12), la seconda al Giordano in cui la manifestazione del Dio Trino giunge a pienezza nel Figlio in fila con i peccatori ed ormai consapevole a pieno di essere il Figlio amato, manifestazione a Gesù stesso che giunge al culmine della sua ricerca di una vocazione e di una identità (cf. Lc 3,21-22), la terza a Cana di Galilea in cui il Figlio si manifesta quale Sposo innamorato ed in cammino verso l’ora.
L’oracolo di Isaia, che in questa domenica è la prima lettura, ha un vertice di grandissima tenerezza, un vertice che dovremmo ripeterci ogni qual volta sperimentiamo solitudine e devastazione nelle nostre vite: «Non ti si chiamerà più “Abbandonata”, né la tua terra sarà più detta “Devastata” … la tua terra sarà detta “Sposata” perché il Signore tuo Dio si compiacerà di te e la tua terra avrà uno Sposo … così ti sposerà il tuo Creatore … come gioisce lo sposo per la sposa così il tuo Dio gioirà per te!».
A Cana viene fatto manifesto che lo Sposo giunge!
Comprendiamo bene allora che questa domenica non deve essere svilita con delle “catechesi prematrimoniali” che, per quanto nobilissime ed utilissime, non hanno diretta correlazione con i testi di oggi se non per il fatto che le nozze umane hanno radice nell’amore sponsale di Dio, che il sacramento nuziale è tale perché il nostro Dio in Gesù si è manifestato quale Sposo e gli sposi cristiani chiedono di far diventare sacramento le loro nozze per testimoniare quell’amore sponsale del Signore. Tutto questo, però, è una conseguenza di quanto oggi la Scrittura ci rivela.
È allora Cristo Sposo che oggi celebriamo e contempliamo; il testo di Giovanni è carico di valore simbolico e di rimandi teologici. Guai a leggerlo solo come un “miracolo” … a volte anche come un miracolo per buontemponi che hanno finito il vino (a tal proposito ricordo una tirata “comica” di Dario Fo!). Giovanni qui, invece, ci sta consegnando ancora un’archè, un principio: è il principio dei segni, quelli che devono condurre al segno supremo della croce, luogo dell’amore estremo di Dio, luogo dell’ora del Messia che qui a Cana è solo annunziata; i segni che dovranno condurre i discepoli e poi i lettori dell’Evangelo a contemplare quel Dio che dona la vita per la sua sposa che è l’umanità («Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» cf. Gv 3,16). Giovanni, ricordiamolo, non chiama mai “miracoli” i “miracoli” ma sempre segni, cioè atti, gesti che rimandano ad una realtà ulteriore. Il fine non è il prodigio, ma è indicare l’identità di Gesù … tutti i segni di Giovanni indicano chi è Gesù: è lo Sposo, è la Parola cui bisogna consegnarsi fidandosi (cf. 4,46-54 la guarigione del figlio del funzionario del re), è la via che ci toglie da ogni immobilismo (cf. 5,1-9 il paralitico alla piscina), è il pane che viene dal cielo (cf. 6,1-13 la moltiplicazione dei pani), è colui che domina le acque di morte (cf. 6,16-21 il cammino sul mare), è la luce del mondo (cf. 6,1-41 il cieco nato), è la risurrezione e la vita (cf. 11,1-44 la risurrezione di Lazzaro) … Un percorso, dunque, con cui Gesù ci conduce a contemplare il prezzo d’amore che il Figlio eterno di Dio paga per condurci in questo esodo verso l’uomo nuovo. I “segni” del IV Evangelo possono essere letti anche in riferimento all’Esodo: bisogna camminare nel deserto (il paralitico), la manna (la moltiplicazione dei pani), il mare che si apre (il cammino sulle acque), la luce della colonna di fuoco che guida il popolo nella notte (i cieco nato), per giungere alla pienezza di vita che è la comunione con Dio (la risurrezione di Lazzaro); il tutto ad opera di uno sposo che dà il vino dell’Evangelo in nozze che, sul Golgotha saranno vere nozze, nozze definitive.
Questo segno di Cana sgorga dalla consapevolezza che all’uomo manca la gioia: «non hanno vino», dice la Madre! La Madre è qui più di Maria: è Israele che presiede alle nozze tra il Messia e la sua Comunità, è Israele che, immerso nel mondo, fa esperienza del bisogno di un Salvatore, è Israele che sa che la gioia è impossibile senza l’intervento del Salvatore … una gioia che verrà consegnata all’umanità nella Pasqua del Figlio, ma qui Israele chiede, per bocca della Madre, che vi sia un segno che conduca a quella pienezza di nozze. D’altro canto, in tutto l’Antico Testamento il vino era stato segno della Parola che salva e che dà gioia e quella Parola il Figlio già la sta pronunciando; il vino è l’Evangelo che ora il Figlio consegna all’umanità e già tutti i gesti e le parole che il Figlio compie e dice sono la buona notizia che la Pasqua compirà e realizzerà.
È vero che l’ora non è ancora giunta, ma già c’è un’ora, l’ora dell’Evangelo che comincia a correre … l’ora definitiva sarà sul Golgotha quando il Figlio innalzato attirerà tutti a sé (cf. Gv 12, 32), quelle nozze, scriveva Caterina da Siena, saranno nozze di sangue … a Cana c’è l’epifania di quest’amore di sposo che si incammina verso le nozze di sangue, nozze in cui canterà la gloria del Padre offrendosi a tutti e senza riserve.
A Cana di Galilea c’è un’archè dei segni, ma c’è anche l’archè della fede della Chiesa … è qui che la comunità di Gesù che ha, secondo il racconto di Giovanni, appena una settimana di vita (cf. Gv 1,19-2,1), inizia a credere, a fidarsi di Lui …
Certamente poi la fede sarà passata nel crogiuolo, sarà passata nel torchio dell’abbandono, del non capire, del rifiuto, del rinnegamento, del tradimento … Quella che però sarà purificata è già la fede ed è sorta a Cana dove la Chiesa nascente ha sentito di essere amata, sposata, non più abbandonata!
La Figlia di Sion, Gerusalemme, adombrata dalla Madre, conduce lo Sposo-Messia alla Chiesa e chiede di fare tutto quello che Lui dirà … è la via che Israele ha sempre percorso, la via di ascolto che diviene immediatamente vita: «Tutto ciò che il Signore da detto noi lo faremo e lo ascolteremo» (così alla lettera!) dice il popolo alla stipula dell’Alleanza nel deserto (cf. Es 24,7); facendo si ascolta, facendo si adempie, facendo si comprende la volontà di Dio. Guai a noi se pretendiamo di capire tutto per obbedire, in un’obbedienza in itinere si fa chiaro il senso!
«Fate tutto quello che vi dirà» … sono le parole con cui la Madre, nel Nuovo Testamento, parla per l’ultima volta (mi viene da pensare con qualche perplessità alle “Madonne” che parlano tanto!?): è Israele che consegna a tutti gli uomini l’unum necessarium (cf. Lc 10,42) che è l’ascolto obbediente. Un ascolto obbediente che permette di gustare il vino buono che è l’Evangelo, che permette di entrare nella gioia delle nozze, un ascolto obbediente che deve divenire sequela sulle vie dell’Esodo Pasquale che il Figlio dovrà realizzare per compiere l’ora che a Cana è solo annunziata. La Madre-Israele è lì presente quando la Chiesa inizia a credere e sarà presente alla fine del Quarto Evangelo ai piedi della croce, all’ora; lì sarà con il Discepolo amato, consegnati l’uno all’altra, nell’ora delle nozze di sangue; sono il principio della nuova umanità.
Cana: epifania di Dio nel Cristo Sposo. Il fine dell’Incarnazione è questo fine sponsale che avrà la sua pienezza nell’eterno: dalle nozze annunziate a Cana, alle nozze di sangue sul Golgotha, fino alle nozze eterne con il Veniente principio e meta della storia: «Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni! E chi ascolta ripeta: Vieni!» (Ap 22,17).
Colui che verrà è lo Sposo innamorato già segnato dalle stigmate dell’amore e pronto ad accogliere la Sposa nel suo abbraccio eterno.