Cristina Dobner – La festa del 2 febbraio ha radici antiche presso i romani che celebravano i Lupercali proprio nel mese di febbraio, il mese purificatoio, per onorare Luperco protettore del bestiame dall’attacco dei lupi. Alcune tradizioni invece si rifanno alla lupa che allattò i due gemelli Romolo e Remo. E così le leggende e le feste fiorirono.
Il popolo d’Israele invece possedeva un’altra tradizione biblica che i cristiani assunsero e fecero propria: la madre, al quarantesimo giorno dopo la nascita, si presentava al Tempio ed offriva un sacrificio.
La testimonianza della celebrazione della Presentazione al Tempio del Signore Gesù risale alla seconda metà del quarto secolo e si trova nel celebre “Diario di Viaggio” della nobile vedova romana Egeria che osò intraprendere con grande coraggio il pellegrinaggio alla ricerca dei luoghi in cui visse il Salvatore.
Presso l’Anastasis, quella basilica che si denomina spesso come Santo Sepolcro, si proclamava il Vangelo di Luca: “Il quarantesimo giorno dopo l’Epifania è qui celebrato veramente con grande solennità”, afferma la pellegrina, tanto da paragonarlo con la somma letizia che scaturiva dalla stessa Pasqua.
Israele, popolo eletto, riconosceva come proprio compito nel cammino della storia diventare luce per tutti i popoli e farsi portatore della luce della Torah- il grande dono dell’Altissimo che irruppe nella coscienza di Mosè facendosi conoscere- per illuminare tutti i popoli con questo annuncio di salvezza.
Il profeta Simeone, radicato nella sua tradizione ebraica, proclamerà infatti: I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele.
Festa della luce ma soprattutto festa di Colui che è la Luce. La tradizione dell’Oriente bizantino è molto ricca di profonde riflessioni cantate nella liturgia di questo giorno detto Ypapanti, cioè giorno dell’Incontro fra il popolo d’Israele con la sua secolare fedeltà di tradizione e di attesa e un piccolo bambino in cui si riconosceva il Messia.
Andrea di Creta lo ha afferrato e lasciato come viva testimonianza: Colui che è portato dai cherubini e celebrato dai serafini, presentato oggi nel sacro tempio secondo la Legge, ha per trono le braccia di un vegliardo; per mano di Giuseppe riceve doni degni di Dio… Simeone, accogliendo il compimento dell’oracolo che aveva ricevuto, benedice la Vergine Madre di Dio Maria, simbolicamente predicendole la passione di colui che da lei era nato…
Nello sfolgorio delle luci e delle candele i credenti venivano guidati ad inneggiare al grande mistero che si compiva nel tempo con solenni invocazioni: Adorna il tuo talamo, o Sion, e accogli il Re Cristo; abbraccia Maria, la celeste porta, perché essa è divenuta trono di cherubini, essa porta il Re della gloria; è nube di luce la Vergine perché reca in sé, nella carne, il Figlio che è prima della stella del mattino. Simeone lo prende tra le braccia e annuncia ai popoli che egli è Signore della vita e della morte, il Salvatore del mondo.
Nelle nostre chiese vengono benedette le candele che illumineranno le celebrazioni e rammenteranno come le tenebre della storia siano state squarciate da una nascita avvenuta in un piccolo borgo sconosciuto e senza rinomanza, ma che i profeti avevano intravvisto ed atteso.
La luce di Israele ha forato i secoli e continua nella sua fedeltà a proclamare la Torah, per i cristiani Gesù Cristo è la Torah incarnata, Luce da Luce.
Ogni secolo ha conosciuto le sue tenebre, oggi noi le tocchiamo mano ma non vogliamo soccombere perché sappiamo che possiamo affidarci a quel bagliore che ci protegge e ci guida, tutti, al Padre.
Fonte SIR