Noemi Riccitelli – Elizabeth Mirzaei e Gulistan Mirzaei sono i registi e produttori del breve documentario Tre canzoni per Benazir (Three songs for Benazir), ora disponibile su Netflix, che dopo aver vinto numerosi riconoscimenti in festival e competizioni cinematografiche in tutto il mondo, è anche in lizza per la candidatura agli Oscar 2022, nella categoria “Miglior documentario breve”, le cui nomination saranno rese note il prossimo 8 febbraio.
Gulistan Mirzaei è un regista afghano che ha trascorso parte della sua vita come rifugiato in Iran, prima di ritornare a Kabul nel 2001.
Qui, Gulistan ha lavorato insieme al giornalista Faheem Dashty (morto lo scorso settembre durante un attacco talebano nel Panshir, dove il giornalista era diventato portavoce della resistenza afghana), che allora dirigeva il Kabul Weekly, il primo quotidiano indipendente ad essere pubblicato a Kabul dopo la partenza dei Talebani.
In seguito, Mirzaei ha collaborato anche con il regista, produttore e sceneggiatore afghano Siddiq Barmak, che con il film Osama vinse il Golden Globe per il Miglior film straniero nel 2004.
Elizabeth Mirzaei, moglie di Gulistan, è una regista che ha vissuto per circa 8 anni in Afghanistan, dove ha lavorato per Al Jazeera, BBC e Discovery, prima di trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti dove ora vive con la famiglia. I suoi lavori e collaborazioni cinematografiche sono stati presentati in diversi festival, tra cui i prestigiosi Venezia e Toronto.
I due registi sono noti per i loro racconti della dura e complessa realtà afghana, affrontando diverse tematiche, tra cui l’asilo politico in Stranded in Kabul (2013); le preoccupazioni dei lavoratori nelle agenzie internazionali nel contesto bellico in Farewell Kabul (2014); l’assassinio del giornalista Sardar Ahmad e della sua intera famiglia in For Sardar: The Afghan Journalist (2016) e, infine, la dipendenza da eroina, problema molto diffuso in Afghanistan, in Laila at the Bridge (2018).
Ambientato in un campo per rifugiati a Kabul, Tre canzoni per Benazir, in soli 22 minuti racconta la tenera storia d’amore tra Shaista e Benazir, due giovani da poco sposati.
Shaista desidera trovare un lavoro, in particolare, vorrebbe entrare nell’esercito e servire il suo Paese, ma i suoi parenti lo ostacolano ricordandogli i doveri familiari, suggerendogli un guadagno più semplice e sicuro, la coltivazione dell’oppio nella provincia dell’Helmand.
“Cosa devo fare con te, mio Afghanistan?!”, dice Shaista, abbattuto, ma anche speranzoso: sì, perché ciò che colpisce di questa breve, ma intensa visione è l’ostinazione tutta positiva di questo giovane nella volontà di migliorare la sua condizione, insieme al tenero, ingenuo, quasi imbarazzato rapporto con la neo-sposa Benazir.
Gulistan ed Elizabeth hanno conosciuto Shaista per via della passata esperienza da rifugiato di Gulistan stesso e il giovane li ha poi introdotti a Benazir.
I due registi hanno dichiarato di essere rimasti impressionati dal sentimento tra i due giovani, di come questa delicata relazione fosse in grado di tenere lontano tutto il dolore della guerra, fornendo loro un’intima rassicurazione e la certezza di esserci almeno l’uno per l’altra.
Il documentario rappresenta una testimonianza necessaria e importante, specie in un momento critico come quello che il Paese sta nuovamente attraversando con il ritorno al potere dei Talebani e il distacco emotivo dell’Occidente, che sembra aver già rimosso i drammatici avvenimenti dello scorso agosto, dopo aver gridato all’orrore: un racconto personale che parla di sofferenza e disagio, ma anche di un’inaspettata speranza che ha il suono delle risate negli affettuosi momenti tra i due giovani e delle note che Shaista dedica alla sua Benazir.