Il podio del Festival restituisce la kermesse agli italiani di ogni generazione: Mahmood e Blanco, Elisa, Gianni Morandi.
Amadeus ha lavorato per tre anni mostrando fin da subito i segni del cambiamento che stava generando intorno ad una manifestazione che necessitava di un “ritorno” nel cuore degli italiani. Sono tornati i giovani sul palco dell’Ariston ma anche i giovani sui divani di casa incollati davanti allo schermo per ascoltare voci e suoni di ultima generazione sconosciuti agli adulti di famiglia per poi trovarsi insieme nella serata delle cover (un esperimento ormai collaudato) a cantare Battisti, Morandi, ed antri intramontabili.
Serenità, ironia, suspense, mai un vuoto; tanta musica; temi che contano e mai banali: il direttore artistico e conduttore Amedeo Sebastiani viene dalla radio, da quel mondo in cui musica e parole entrano nelle case (nelle auto e in ogni dove) senza un’immagine piacente o piacevole a fare da apripista: servono contenuti e toni giusti. Ed è andata così.
Se non c’è polemica non c’è Sanremo: lo stile di qualche monologo letto e non recitato è finito sotto i riflettori: ma tenere la scena non è da tutti, fatti salvi i contenuti. E allora che ben venga parlare di discriminazione, di Costituzione, di unicità, di diversità quando il filo conduttore di un programmone come il Festival si chiama “rispetto” e nelle case degli italiani consente – fra generazioni – il confronto/scontro che spesso manca.
Fiorello e Checco Zalone hanno saldato gli italiani davanti alla tv; Sabrina Ferilli e il personaggio Drusilla Foer hanno rinsaldato negli italiani la convinzione che certi talenti vengono da lontano, da studio, formazione, da quella scuola di vita che è il teatro e che fin dalle sue origini unisce l’anima del mondo ed eleva quella degli uomini verso un messaggio sempre nuovo e positivo, verso una prospettiva, leggera e impegnativa al tempo stesso; Lorena Cesarini e Maria Chiara Giannetta l’hanno personificata questa prospettiva di futuro, con semplicità e purezza, con poco, senza la sola necessità di uno spacco al vestito…
L’Italia nel giro di questi ultimi anni è tornata ad affezionarsi al Festival, fatta eccezione di quella fetta di pubblico mai venuta meno per tradizione, passione, per legami affettivi, per simpatia del cantante o del presentatore di turno, per godersi l’ospite super pagato, per curiosare tra gli abiti e le paillettes del momento, per fare pettegolezzo, per recuperare un messaggio di senso dalle canzoni e non solo. Questa volta c’è un “tutto” che mette tutti d’accordo. Ognuno sa di poter prendere qualcosa che non sia banale, perfino coloro che, puntualmente in questi mesi dell’anno, orgogliosamente dichiarano “io Sanremo non lo guardo più da trent’anni” perché vedono tradita la musica, feriti i criteri di selezione dei migliori talenti e solo l’anima commerciale a reggere il carrozzone…
Sanremo è inevitabilmente specchio e riflesso dei gusti e dei sogni degli italiani; dei bisogni di svago e leggerezza; del desiderio di serenità ostinatamente ricercato per un’intera settimana perché tanto basta a distrarre, perché cambiare argomento fa bene, perché crea discussione, perché nelle parole di Massimo Ranieri (un altro del teatro!) da “Perdere l’amore” ad oggi con “Lettera di là dal mare” non è mai venuto meno il buon testo e la grande musica tutti italiani.
Omaggio a noi e quante cose belle questo Paese può realizzare.