Si celebra oggi, 10 febbraio, il Giorno del ricordo, solennità civile nazionale che rievoca i massacri delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata, una delle pagine più tragiche della storia italiana e dei popoli che abitano le terre situate sul confine orientale. Di fronte a drammi di tale portata il dovere da parte di ognuno è educare al ricordo soprattutto le giovani generazioni e, d’altro canto, educare non è possibile senza uno studio circospetto di quelle catastrofi. Il professor Armando Pepe ci propone un’analisi dell’opera dello storico Paolo Simoncelli, dedicato alla città di Zara e a quella medaglia tanto agognata, ma mai arrivata.
Armando Pepe – Ci si avvicina a temi e problemi storici in silenzio, magari informandosi. La regione dell’Istria ha sempre esercitato un certo fascino su di me, per cui ventenne leggevo con piacere i romanzi di Carlo Sgorlon, specialmente la Foiba Grande. Appresi di tante vite spezzate in modo criminale e senza ragione, colpevoli soltanto di essere italiani. Di fronte al male non c’è alcuna plausibile ragione, ma lo si può, lo si deve studiare, per comprenderlo. Sulle foibe dagli anni Novanta dello scorso secolo ad oggi c’è una nutrita storiografia, di cui ho letto soltanto ma completamente i libri di Raoul Pupo.
Oltre alle foibe, però, c’è un mondo scomparso, che vive nella memoria di chi lo ha vissuto. A quel mondo si riferisce, o meglio si riferiva, considerato l’anno di pubblicazione (2010), il libro dello storico modernista Paolo Simoncelli, dal titolo Zara. Due e più facce di una medaglia, edito a Firenze da Le Lettere. È un agile volumetto, scritto sotto forma di pamphlet, con la postfazione di Ottavio Missoni. In quarta di copertina si legge: “Il 21 settembre 2001 il presidente della Repubblica Ciampi firmava il decreto del conferimento della medaglia d’oro al valor militare al gonfalone dell’ultima amministrazione italiana di Zara. La relativa, solenne cerimonia politico-militare convocata al Quirinale per la mattina del 13 novembre seguente, venne d’improvviso rinviata con risibili pretesti. Il decreto, mai revocato, comunque non avrebbe più avuto seguito”.
La trama è simile ad un romanzo giallo, intessuta di colpi di scena, annunci e passi indietro. Emerge l’indefettibile perseveranza di Ottavio Missoni, il famoso stilista, componente dell’Associazione dalmati italiani nel mondo e sindaco del Libero Comune di Zara in esilio, il quale, insieme ad altri esuli nella promessa e mai davvero concessa medaglia d’oro al valor militare credette fino in fondo. L’offensiva diplomatica del governo croato bloccò tutto, l’iter portò in un vicolo cieco, il gonfalone di Zara non venne insignito di alcun riconoscimento, per cui non poté entrare nel museo delle medaglie d’oro a Roma. Bisogna considerare che le pratiche portate avanti per l’agognato ma mai raggiunto traguardo risalivano al settennato del presidente Scalfaro. Furono dunque lunghi, anzi lunghissimi, gli anni della vana attesa. La richiesta degli esuli dalmati non voleva essere e non era un risarcimento, ma un atto d’amore verso una terra di cultura italiana abitata da secoli da un popolo orgogliosamente italiano. La politica con ambiguità e raggiri più machiavellici di Machiavelli uccise un sogno, che non era rivendicazione ma ricordo.
Scriveva Ottavio Missoni nella postfazione che: “Almeno tremila furono i caduti sotto i bombardamenti e coloro che caddero uccisi o scomparvero dopo la liberazione della città da parte dei partigiani di Tito, più del 10 % della popolazione, la città fu distrutta per l’85%, più di ventimila gli italiani che furono costretti all’esilio. Questa la misura della tragedia di Zara, nessuna città d’Italia subì maggiori distruzioni e perdite umane. Come fu conferita a dieci dei suoi cittadini, Zara attende la medaglia al valore, la politica non abbia paura della sua memoria” (p. 135). Purtroppo la medaglia non ci fu e ancora non c’è.
Fonte storiaglocale.com