Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano
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VI domenica del Tempo ordinario – Anno C
Ger 17,5-8; Sal 1; 1Cor 15,12.16-20; Lc 6, 17.20-26
In Gesù Dio si è fatto vicino agli uomini e tra gli uomini ha fatto una scelta, quella dei poveri, degli ultimi, di quelli non possono accampare proprie grandezze e meriti, di quelli che non possono essere pieni di altro se non del loro bisogno di altro! Ha fatto la scelta di quelli che per il mondo non contano, quelli che nessuno vede, quelli che non hanno voce.
Luca è particolarmente impegnato a farci giungere questo messaggio: l’Evangelo di Betlemme è cantato dagli angeli ai poveri pastori chiamati a riconoscere un segno povero e contraddittorio di ogni fantasia su Dio; al Tempio, al quarantesimo giorno dalla sua nascita, Gesù è accolto dai poveri che attendono la redenzione di Gerusalemme, fragili e forti nella loro vecchiaia, nella Sinagoga di Nazareth Gesù si presenta come il profeta inviato ad evangelizzare i poveri; al Giordano Gesù si mette, senza timore, nella fila della povertà più estrema, in fila con i peccatori… Oggi ascoltiamo la beatitudine dei poveri che apre il discorso fondativo di una comunità che voglia seguirlo.
Tutto l’Evangelo di Luca proseguirà così in una lettura commossa della scelta d’amore di Gesù per i poveri… i poveri sono coloro che Gesù incontra (i tanti ammalati, la peccatrice del capitolo 7 e così via fino al ladrone appeso con lui alla croce), di poveri sono le figure che fioriscono dalla sua fantasia quando narra tante delle sue parabole (pensiamo al povero Lazzaro in 16,19-31; ai poveri chiamati al banchetto rifiutato in 14,21; alla vedova che non riesce ad ottenere giustizia in 18,1-7; al pubblicano al Tempio in 18,9-14 e così via). Per Luca i poveri sono “i poveri” e basta, senza altra specificazione come aveva scritto Matteo dicendo «i poveri nello spirito» (Mt 5,3). Luca intende per poveri i curvati, gli oppressi… la parola greca che è usata significa nullatenenti, quelli che non hanno davvero nulla e per quanto possano affaticarsi rimarranno sempre senza alcun possesso… di conseguenza vivono di dipendenza e sottomissione, sono in una condizione che li porta a nascondersi, a rannicchiarsi su di sé: il verbo da cui deriva il termine ptochòs (povero, pitocco appunto) ha questo significato. Insomma, sono poveri reali, che hanno fame, piangono, sono in balìa di tutti, oppressi, deboli e sfruttati; sono incapaci di difendere la loro dignità. Su di loro, però, Dio ha posato il suo sguardo, per loro interviene; per questo sono beati! Gesù non proclama beatitudine la miseria che è sempre frutto della malvagità dell’uomo, ma causa della beatitudine è la scelta di Dio che li fa protagonisti di una nuova storia.
I grandi, i ricchi, i potenti, gli arroganti, i violenti, i sazi, i gaudenti, gli idolatri dell’effimero e gli schiavi del mondo credono di essere loro i costruttori e i padroni della storia, il mondo li applaude e li fa ciechi e sordi, incapaci di rendersi conto di essere loro stessi gli alleati più formidabili di ciò che più di tutto temono: la morte; il Regno di Dio è invece di coloro che essi tengono sotto i piedi…
La miseria di questi ricchi è paradossale e Gesù non può che dire il suo «Ahimè» su di loro; forse è meglio tradurre così invece di «guai»… è infatti un lamento pieno di pietà per chi vive e vuole vivere nell’inganno; è un grido pieno di dolore che desidera far breccia in quei cuori induriti; non è assolutamente una minaccia o peggio una maledizione! È un grido di dolore, ma anche un grido di speranza. Gesù sa, infatti, che anche ai ricchi è possibile una conversione se si lasciano incontrare da lui: Zaccheo ne sarà l’esempio lampante. Sceso dal suo sicomoro Zaccheo, il ricco pubblicano, condividerà e farà giustizia e allora la salvezza entrerà sotto il suo tetto (cf. Lc 19,1-10).
Già Geremia aveva proclamato, nel testo che in questa domenica costituisce la prima lettura, l’infelicità di coloro che confidano in se stessi, nel mondo; un uomo così ha radici senza speranza, il povero, invece, può confidare solo in Dio e questo è la sua salvezza.
Come sempre è parola paradossale, ma è verità di salvezza!
L’Evangelo proclama con chiarezza che Gesù stesso è il povero, il perseguitato, è l’affamato di giustizia, è colui che, già in questo discorso delle beatitudini, è il piangente per la miseria dei ricchi, dei sazi, dei ridenti, di quelli a cui tutti si inchinano. Gesù è l’icona delle beatitudini, è il povero che nell’estrema povertà della croce si consegnerà tutto al Padre; Luca pone sulle labbra del Crocefisso quel dolcissimo e coraggioso: «Padre, nelle tue mani consegno la mia anima». Coraggioso perché per Luca, Gesù è il povero che non ha rifugio se non in quelle mani paterne che Egli sa che ci sono, anche se lì sul Golgotha non le vede… Gesù nella povertà estrema della croce è lui stesso il Regno! Un Regno che si consegna a quelli che lo seguono in una via di umile, ma vera alternativa al mondo e alle sue vacuità.
La beatitudine che Gesù pronuncia per i poveri non è al futuro, è al presente: già oggi i poveri hanno il Regno! Hanno il Regno perché, fiduciosi di Dio, gli danno spazio e trono nella loro vita, una vita in cui non c’è altra possibilità di senso se non in Dio.
Questa parola che oggi viene a cercarci è una parola radicale, è un aut-aut. Va presa così altrimenti il rischio è immenso: è il rischio tutto mondano di pretendere di conciliare le proprie vedute, esigenze e conquiste con l’Evangelo.
L’alternativa è o conciliare o scegliere!
Oggi il mondo suggerisce che lo scegliere è integrista, che bisogna sempre rimanere sulla soglia per non essere giudicati fanatici; il mondo ama le mezze misure perché quando diventa impossibile conciliare l’inconciliabile diviene inevitabile voltare le spalle al Cristo ed al suo Evangelo o renderlo irriconoscibile in una contraffazione vergognosa.
La sfida è grande: scegliere o la pretesa di conciliare?
La scelta è tra una parola che ci porta a casa: «Beati!» ed una parola che ci proclama dolorosamente abitanti di un freddo lago di non-senso: «Ahimè».
Il problema è credere che la ricchezza del mondo è miseria e la vera povertà fatta di condivisione e giustizia è beatitudine, il problema è credere al mondo o all’Evangelo. L’alternativa è solo questa!