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Il filo invisibile: l’amore oltre i cromosomi nel nuovo film italiano Netflix di Marco Simon Puccioni

L’ultimo lavoro del regista è disponibile dal 4 marzo sulla piattaforma streaming

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Noemi Riccitelli – Un po’ coming of age, dramma familiare e documentario di approfondimento, Il filo invisibile, nuovo film italiano Netflix di Marco Simon Puccioni è una bella storia che parla di famiglia, amore e pregiudizio.
In particolare, il film affronta un tema piuttosto delicato e discusso nella contemporaneità, quello delle cosiddette “famiglie arcobaleno”, ma la riflessione si allarga al concetto stesso di amore e di relazione familiare a prescindere da chi componga il nucleo.
Il regista Puccioni, del resto, è da sempre attento ai diritti umani e civili delle minoranze e alle tematiche di impegno sociale.
Distribuito a Febbraio in sala, Il filo invisibile è disponibile su Netflix dal 4 marzo, tra i produttori, l’attrice Valeria Golino.

Roma. Leone (Francesco Gheghi) è un adolescente come tanti: va a scuola, esce con il suo migliore amico, prende la sua prima cotta.
Tuttavia, ciò che sembra distinguerlo, almeno agli occhi degli altri, è il fatto di avere due papà: Simone (Francesco Scianna) e Paolo (Filippo Timi), che stanno insieme da ben venti anni, i quali hanno deciso di avere Leone con l’aiuto di Tilly (Jodhi May), madre genetica e “portatrice”.
Tilly vive negli Stati Uniti ma è sempre presente nella vita serena e armoniosa che Simone e Paolo hanno realizzato insieme a Leone.
Nonostante ciò, come in ogni normale famiglia, con il tempo gli equilibri si frammentano e Leone deve adattarsi a nuovi cambiamenti.

Essere una famiglia, essere sé stessi, a prescindere dalle circostanze e dai giudizi: il soggetto e la sceneggiatura (di Marco Simon Puccioni e Luca De Bei) intendono comunicare e trasmettere questi sentimenti, ma anche educare e informare su una realtà che, soprattutto in Italia, fatica ancora ad essere considerata tale.
Il fine del film è, infatti, quello di mostrare l’ordinarietà di una famiglia omogenitoriale che, contrariamente a quanto l’opinione pubblica ritenga, è esattamente il nucleo familiare che la tradizione vorrebbe, con tutti i pregi e difetti: Tolstoj scriveva che tutte le famiglie felici si assomigliano tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
Bene, in questo film anche l’infelicità non si distingue, non guarda a chi compone la coppia per una qualche eccezionale anomalia.

Questo motivo didascalico (più volte vengono menzionati cavilli legislativi riguardanti l’unione civile di Simone e Paolo) sembra, a volte, frenare la recitazione, minando la fluidità della narrazione, ma il ritmo riprende con momenti di genuina allegria e tenerezza, grazie anche alla bravura del cast di attori.
Francesco Scianna e Filippo Timi, volti noti e consolidati del grande e piccolo schermo italiano, interpretano i loro personaggi con adeguatezza e semplicità, senza scadere in stereotipi di troppo; anzi, sono proprio loro i protagonisti di diversi momenti di comicità.
Tuttavia, il personaggio migliore è interpretato da Francesco Gheghi: l’attore incarna quello spirito naif di molti adolescenti di oggi, alle prese con le trasformazioni tipiche di un’età di passaggio, ma anche la forte consapevolezza di chi sa molto bene ciò che vuole e che con caparbia sicurezza e le naturali ampie vedute di una mente giovane reagisce con indifferenza e matura superiorità ai limiti e alle imposizioni di una società retrograda.

È proprio Leone, infatti, che alla fine del film tira le fila, anzi, il “filo” della vicenda che la sua famiglia attraversa: questo filo invisibile è, nonostante le vicissitudini quotidiane e rivelazioni che possono sconvolgere la vita, l’amore.
L’amore che prescinde dai cromosomi e che sempre unisce tutti gli esseri umani che agiscono e si ispirano al suo nome.

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