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Commento al Vangelo. Sono amore e perdono che producono pentimento: il primo passo è sempre Dio a compierlo

Commento al Vangelo della IV domenica di Quaresima - Anno C

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Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

IV domenica di Quaresima – Anno C
Gs 5,9a.10-12 ; Sal 33; 2 Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32

Davvero oggi dobbiamo gioire, davvero oggi è necessario spalancare il cuore alla letizia… oggi la liturgia ci invita a contemplare ed a cantare la misericordia del Signore! È la domenica detta laetare proprio per questo richiamo alla gioia che essa contiene; il colore rosaceo dei paramenti liturgici è significativo: oggi, con la luce dell’aurora della Pasqua che già si intravede, è attenuato il violaceo, segno del rigore penitenziale della Quaresima. Il colore dell’aurora, il rosaceo, ci riveste per ricordarci che la nostra penitenza approda alla luce della risurrezione, alla luce di un «amore fino all’estremo» (Gv 13,1), quello di Gesù, il crocefisso risorto.

Edward John Poynter (1836-1919): “Il ritorno del figliuol prodigo”

L’ingresso nella Terra Promessa che il libro di Giosuè oggi ci narra nella prima lettura, è inaugurato da una parola kerygmatica del Signore: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto». È di nuovo Pasqua, come nella notte dell’Esodo, ma questa Pasqua, la prima nella Terra Promessa, è compimento di quella prima Pasqua. La parola del Signore è vera: l’Egitto, con tutto ciò che rappresenta (condizione da stranieri, idolatria, schiavitù, oppressione) è alle spalle per sempre. Ora il popolo ha un compito straordinario: vivere in quella libertà che il Signore ha donato. La dinamica è sempre chiara ed umanissima: l’esodo è opera di Dio, ma all’uomo, certamente con la grazia di Dio, è richiesto di viverlo ogni giorno facendo di quella libertà donata una libertà pienamente assunta. È anche la dinamica della vita cristiana: al dono di grazia della Pasqua di Cristo bisogna rispondere assumendo quella grazia e quella libertà di figli che il suo amore ci ha donato.

La vita cristiana ha la forma di un esodo compiuto e continuo ed il celebre passo dell’Evangelo di oggi, la parabola del “Figliuol prodigo”, o meglio del “Padre misericordioso”, è ancora possibile leggerla come un esodo; il figlio che si allontana dal padre si avventura incauto ed accecato da se stesso, in una terra di schiavitù, povertà ed abbrutimento… Non riesce a custodire nulla della casa del padre, solo una pallida memoria che gli affiora nel cuore nell’ora dell’estremo avvilimento e solitudine; lì, tra i porci, è senza amore: «Avrebbe voluto saziarsi delle carrube che mangiavano i porci, ma nessuno gliene dava», così scrive sapientemente Luca, cioè vorrebbe l’amore di qualcuno che si curi della sua vita, dei suoi bisogni. In questo estremo il ragazzo dissennato fa affiorare una pallida memoria di quella casa; sia chiaro, è una memoria interessata («Quanti salariati in casa di mio padre hanno cibo abbondante ed io qui muoio di fame!») e senza pentimento; il discorsetto che si prepara è pieno di calcoli per ottenere ciò che vuole.
Se la sua memoria è pallida e gretta, di fronte a lui c’è una memoria vivida e piena di amore e speranza: quella del padre. Questi lo vede nella sua lontananza, lo aveva amato con un amore fedele nel suo peccato e nella sua bassezza, lo attendeva con una speranza priva del buon senso del mondo, il suo è un amore che non si è arreso.

Il padre corre verso di lui e lo stringe a sé baciandolo ripetutamente. Qui quel ragazzo sciagurato si pente, si pente perché avvolto da un amore che nulla chiede; in quell’amore sente il suo peccato come tale e si lascia amare e rinnovare. Sono l’amore ed il perdono che producono il pentimento e non il contrario. Ecco il grande evangelo di oggi: annunzio di amore e di un perdono prevenienti e perciò assolutamente gratuiti. Certo questo padre è fuori da ogni schema: nessuna parola di rimprovero, nessuna recriminazione sul patrimonio sperperato… solo gioia, accoglienza, doni e dignità restituita. Il padre non ha il buon senso del mondo; il triste buon senso del mondo lo l’ha il figlio maggiore che non sopporta quella festa, che recrimina e rinfaccia; è il triste buon senso di chi si crede giusto e rifiuta la fraternità («questo tuo figlio…» non è suo fratello!) e non vuole sedere alla mensa del peccatore… Il padre anche con lui è umile misericordia, gli ricorda la sua fraternità che aveva rifiutato e misconosciuta («questo tuo fratello…») e lo invita ad entrare alla festa della comunione ritrovata. La parabola rimane aperta: entrerà alla festa questo ottuso giusto?

San Paolo nel testo della Seconda lettera ai Corinti che oggi si legge, ci dice in pratica che la storia della salvezza è stata tanto più bella e meravigliosa della parabola lucana: in realtà il Figlio maggiore, il Cristo, non è rimasto al caldo nella casa del Padre ma è partito anch’egli per una terra lontana per cercarvi i figli prodighi e perduti, li è andati a cercare fin nell’inferno! Si è lasciato trattare da peccato, lui il solo giusto. E questo per entrare a pieno in quella condizione in cui noi tutti eravamo: nel campo dei porci e senza amore… La parola di Paolo è violenta ed a volte, diciamocelo, insostenibile per i nostri cuori di pii cristiani; è una parola che balbetta e l’orrore della croce del Figlio di Dio, il cui senso dobbiamo accettare di non cogliere mai a pieno, e l’amore del Dio narrato da Gesù con tutto se stesso; mentre ci sembra di cogliere il senso di quell’essere «trattato da peccato in nostro favore», esso ci sfugge ma ci lascia nel profondo un segno radicale di quello che in queste domeniche stiamo cogliendo come il «caro prezzo» (1Cor 6,20) della salvezza!

Oggi siamo invitati a rallegrarci di questo caro prezzo che Dio ha voluto pagare per noi, a vantarci della croce di Cristo (cf. Gal 6,14), il vanto che viene dal comprendere veramente quanto siamo stati amati! Rallegriamoci di questo amore estremo ed in esso dimoriamo lasciandoci plasmare in una vita rinnovata e filiale.

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