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Un mondo diverso: meno talk show sulla guerra, più cultura che insegni la pace

Spettacolarizzazione e protagonismo: i servizi televisivi sulla guerra in Ucraina rischiano di stancare? Di quali racconti e cronache c'è bisogno? Le parole di Papa Francesco sono motivo di nuova riflessione

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Paolo Bustaffa – Come papa Francesco auspica “un modo diverso di governare il mondo non facendo vedere i denti” così deve essere pensato e proposto un modo diverso di comunicare.

Nei giorni scorsi su un quotidiano nazionale si leggeva: “I talk show sulla guerra sono uguali a quelli sulla pandemia: una noia mortale”. La critica è a modi e linguaggi di un comunicare mediatico più adatti a un incrociarsi di contrapposte opinioni che a un confronto di pensieri e conoscenze. Anche il protagonismo di conduttori e di ospiti è inteso un segno di fragilità comunicativa.

A quelli del talk show si possono aggiungere i toni degli annunci dei servizi televisivi dall’Ucraina. Non differiscono molto dagli annunci di una partita di calcio o uno spettacolo e così arrivano a stridere con le drammatiche narrazioni dei corrispondenti dalle città, non solo ucraine, dove si muore e si soffre.

Il protagonismo rischia di rispondere all’esigenza di riempire i tempi piuttosto che offrire occasioni di conoscenza e approfondimento. Le contrapposizioni entrano in campo accendendo un confronto fine a sé stesso. I servizi giornalistici che giungono dalla guerra si mescolano e finiscono per rimanere frammenti. Ci deve essere un modo diverso per accompagnare l’opinione pubblica nel leggere, giudicare ed esprimere un pensiero.

Come papa Francesco auspica “un modo diverso di governare il mondo non facendo vedere i denti” così deve essere pensato e proposto un modo diverso di comunicare.

È allora il tempo della responsabilità degli intellettuali, degli uomini e delle donne di pensiero, di coloro che attraverso la storia, l’arte, la musica, la poesia hanno acceso la cultura della pace e hanno spento la cultura dell’odio, della violenza, della guerra. Grazie al loro ritorno, i media possono essere ancora i luoghi di una comunicazione capace di offrire contributi di conoscenza e di riflessione.

Un modo diverso di comunicare è possibile nel tempo del tutto e subito? È questa un’antica questione che richiama il primato della coscienza di chi parla e di chi ascolta, di chi tramette le immagini e chi le guarda. È riassunta nel corsivo di un quotidiano nazionale: “I talk show sulla guerra sono uguali a quelli sulla pandemia: una noia mortale”.

La noia è un male che svuota l’uomo, è il sintomo dell’indifferenza alla violenza e alla menzogna, è un virus che infetta e indebolisce sempre più il desiderio di conoscere, di capire, di prendere la parola, di decidere. La lotta contro la noia non si vince con effetti speciali ma con una comunicazione pensata che susciti le domande, che accenda il desiderio di capire e approfondire, che suggerisca le direzioni per la ricerca della verità.

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