Noemi Riccitelli – A due settimane dall’uscita su Netflix, la seconda stagione di Bridgerton è ben salda al primo posto della classifica tra i prodotti più visti della piattaforma.
Dopo il successo della prima stagione che ha inaugurato il ciclo di storie, incentrato sulla nobile famiglia inglese dei Bridgerton, tratto dai romanzi dell’autrice statunitense Julia Quinn, la serie ideata da Chris Van Dusen e prodotta dalla “guru” della TV Shonda Rhimes (è lei la creatrice di Grey’s Anatomy, una delle più longeve e famose serie TV contemporanee), ritorna sullo schermo con 8 episodi di 50/60 minuti ciascuno.
La prima stagione ha preso come riferimento il primo dei libri di Quinn, Il conte ed io (The duke and I), in cui i protagonisti sono stati la giovane Daphne Bridgerton (Phoebe Dynevor) e il Duca di Hastings, Simon Basset (Regè-Jean Page); invece, la seconda stagione prende le mosse dal secondo volume del ciclo di romanzi, Il visconte che mi amava (The viscount who loved me), con protagonista Anthony Bridgerton.
Dopo che Daphne e il duca hanno trovato il loro lieto fine, Anthony Bridgerton (Jonathan Bailey), primogenito della famiglia, noto per le sue avventure tra l’illecito e il romantico, decide che è giunto il momento di sposarsi e assolvere, così, al dovere di capo-famiglia.
Dunque, la stagione di balli ed eventi alla corte della regina Charlotte (Golda Rosheuvel), si preannuncia particolarmente viva e degna di attenzione per tutte le nobili famiglie, ma soprattutto per la penna pungente di Lady Whistledown, la misteriosa voce (quella di Julie Andrews) critica della società: in città, infatti, giungono le sorelle Sharma, Kate (Simone Ashley) ed Edwina (Charithra Chandran), la cui presenza è destinata a lasciare il segno.
Ambientato nella Londra di epoca Regency, nel primo decennio del XIX secolo, Bridgerton ha senz’altro colpito pubblico e critica per una brillante commistione di elementi: la riflessione critica sulla società londinese del tempo, tutta vota all’apparenza, le anomalie della condizione femminile del periodo, unite ad un tono e ad alcune vicende apparentemente più superficiali e “ciarliere”, che tuttavia non sviliscono la componente costruttiva, anzi, la enfatizzano evidenziando le contraddizioni del suddetto contesto politico-sociale.
In questo senso, prima l’autrice dei romanzi, e poi i creatori della serie hanno seguito la linea ispirativa di Jane Austen, punta di diamante della letteratura inglese, cui ha contribuito distinguendosi proprio per la sagacia dei suoi scritti, in cui il nucleo sentimentale, romantico, non intacca l’innovativo e profondo pensiero sui costumi della sua epoca, ponendo le basi per il futuro e vasto dibattito sull’emancipazione femminile.
La serie, inoltre, inserisce in questo già collaudato piano narrativo ulteriori elementi vincenti: in primis, un cast di attori genuinamente belli e talentuosi, di richiamo per un pubblico più giovane, fruitore principale della piattaforma; reinterpretazioni di classici della musica pop (le musiche sono di Kris Bowers), tra cui Wrecking Ball di Miley Cyrus e Material Girl di Madonna, che vengono adattati in arrangiamenti di musica da sala; scenografie e costumi (Gina Cromwell, John Glaser, John Norster) di stile ottocentesco ma con tocchi, spesso estrosi, di modernità e una palette di colori brillanti, che coccolano l’occhio in un senso estetico unico e contribuiscono a caratterizzare i personaggi.
La seconda stagione ha registrato un maggior gradimento rispetto alla prima: infatti, gli snodi della trama di questo nuovo capitolo risultano più avvincenti e la componente romantica data dai nuovi protagonisti appassiona lo spettatore, laddove nella prima stagione diversi passaggi sono sembrati eccessivi e non necessari.
In particolare, ad animare il cuore della vicenda sono il visconte Anthony e lady Kate, che rappresentano i classici “opposti che si attraggono” e i cui interpreti, Jonathan Bailey e Simone Ashley, mostrano un’intesa perfetta, che giova a dare realismo e intensità alla storia.
Nel complesso, Bridgerton si conferma una serie TV valida e interessante, un prodotto certamente di evasione, che mira tuttavia ad un intrattenimento di stile, non banale.
Il consiglio per apprezzarne pienamene il gusto e lo spirito ironico, che risulta fedele all’origine british della storia, è guardarla in lingua originale: l’inglese posh (l’accento delle classi sociali elevate) è il quid in più che incornicia la serie, aggiustando il tiro di qualche stortura storica.