Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)
V Domenica di Pasqua – Anno C
At 14, 21-27; Sal 144; Ap 21, 1-5; Gv 13, 31-33; 34-35
La gloria!
Credo che i cristiani ne abbiano una visione distorta! Si usa questa parola come un “applauso” a Dio… come qualcosa da aggiungere a Dio! La gloria è, in realtà, alla lettera, il “peso che Dio ha”! È il “peso” che noi gli riconosciamo, che noi gli accordiamo nella nostra libertà! La croce di Gesù fu gloria di Dio perché raccontò il vero volto di Dio; fu gloria perché Gesù con la sua croce disse che “peso” aveva Dio, il Padre, per Lui e che “peso” avevamo noi per Lui! La croce di Gesù fu gloria perché mostrò l’amore “fino all’estremo” mostrò la presenza di questo amore di Dio, presenza che salva! Ecco che allora la gloria si configura come riconoscimento di una presenza che “pesa”, che ha un primato e che mostra tale primato!
Ecco che allora capiamo perché nel passo dell’Evangelo di Giovanni di questa domenica le parole di Gesù seguono l’affermazione «dopo che Giuda fu uscito». Solo, infatti, dopo che Giuda è uscito per consegnarlo, e Gesù non l’ha fermato, anzi in qualche modo gli ha fornito anche un plausibile pretesto per uscire, Gesù può dire che è iniziata davvero l’ora della gloria, l’ora cioè nella quale, attraversando la passione e lasciandosi innalzare sulla croce, racconterà che “peso” ha l’amore del Padre e mostrerà che “peso” ha la stessa presenza del Padre per Lui e che “peso” ha l’umanità tutta nel suo cuore! Il Gesù di Giovanni ha una certezza: il Padre mostrerà la gloria del Figlio! Mostrerà quanto il Figlio obbediente ed amante “pesi” per Lui e lo farà nella Risurrezione! È questa la grande visione teologica di Giovanni che, da questo straordinario movimento, fa scaturire «il comandamento nuovo» che è il punto di arrivo di questa breve e intensissima pagina evangelica; un comandamento “estremo”, “ultimo”, “definitivo” (la parola kainós deve essere così intesa!) che in poche righe Gesù qui ripete due volte (e più avanti nei “Discorsi di addio” ancora lo ripeterà).
Si può mai comandare l’amore? Gesù può comandare l’amore perché lo ha mostrato; può comandare l’amore a chi è stato avvolto dal suo amore. Insomma, si può amare come Lui ha amato, solo se si è sperimentato su di sé quell’amore! «Amati amiamo» scriverà Giovanni nella sua Prima lettera (Gv 2,19). È vero! Per questo Gesù può dare il comandamento dell’amore solo dopo che ha lasciato uscire Giuda… non avrebbe potuto dire «Amatevi come io vi amerò»! Ora invece può dire «come io vi ho amati» perché ormai si è consegnato. Con l’uscita di Giuda tutto è all’opera per la passione e Lui vi sta andando incontro con suprema libertà ed amore!
Questo comandamento ultimo, definitivo è l’ultimo compito, l’estremo che Gesù dà ai suoi (in latino Girolamo tradurrà in latino mandatum), quello che deve dilatare la “gloria” della croce nella storia degli uomini! Come Gesù ha raccontato con la croce l’amore del Padre, così i discepoli racconteranno, con il loro amore reciproco, la possibilità vera di salvezza che l’amore è per l’umanità! Il discepolo di Gesù è tale solo se vive in una concreta comunione di fratelli che si amano radicalmente. Il comandamento nuovo, ricordiamolo, è un comandamento intra-ecclesiale! È il comandamento che devono vivere quelli che si riconoscono discepoli di Gesù, quelli che lo hanno incontrato e vogliono fare di Lui la via da seguire… solo se i discepoli si ameranno davvero di quello stesso amore con cui Gesù ha amato ne mostreranno il volto, ne narreranno l’Evangelo, daranno al mondo la buona notizia che ci sono uomini che «amati amano»… che ci sono uomini che hanno sperimentato nelle loro vite un amore tanto grande e gratuito da esserne afferrati e di averlo colto come comandamento, come compito ineludibile! Il discepolo, che ha sentito radicalmente di essere amato, ormai sa e comprende che l’amore è ormai pure la sua via… non può essere diversamente!
In quella sera il Quarto Evangelo pone la lavanda dei piedi come inizio di quella cena, con quel gesto Gesù fa un “mimo” della Passione nella quale sta entrando, di quella Passione nella quale splenderà la gloria dell’”amore fino all’estremo”, quell’amore nel gesto della lavanda si mostra capace di toccare e amare in ogni sporcizia e fragilità. Il discepolo che ha sperimentato l’amore sa che il suo discepolato nasce dall’essere stato amato e scelto (cf. Gv 15,16) e non da una sua decisione… il discepolo sa così che il suo discepolato non si esplica nel fare delle cose ma nell’essere amore! Il comandamento dell’amore apre all’umanità una via di assoluta novità… il mandatum novum, l’ultimo compito che Gesù ha dato, apre al “nuovo”, all’impensabile, all’incredibile; nel testo dell’Apocalisse che oggi si legge abbiamo sentito che il Signore dice: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» quest’opera di rinnovamento è già iniziata da quando alcuni uomini hanno cominciato a prendere sul serio il mandatum novum. Chi ama come Gesù ha amato, comincia a condurre tutte le cose verso l’assoluta novità! Una novità che contraddice il “vecchiume” del mondo con le sue solite strade di morte e di autoaffermazione fondate sul possesso, sul potere e sull’uso strumentale degli altri uomini!
Gesù aprì questa strada di novità amando fino all’estremo… Lui ci chiede di essere con Lui in questa opera di salvezza. In fondo, pensiamoci, è l’unica cosa che ci ha chiesto: amare per annunciare l’Evangelo, annunciare l’Evangelo amando! E con il nostro povero amore, reso sempre più somigliante al suo, Lui farà nuove tutte le cose! È straordinario, sì, ma può essere il nostro ordinario! È l’ordinario del discepolo che così, solo così, mostrerà la gloria di Dio, narrerà il vero volto di Dio!