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Voci d’inverno. Privazione e resilienza: la storia di Federico, un ragazzino cresciuto troppo in fretta

Per la rubrica "Voci d'inverno" ancora una storia dal Centro diocesano per la famiglia "Mons. Angelo Campagna". Stavolta il protagonista è Federico, cresciuto con i nonni dopo che sua madre si era formata una nuova famiglia

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“E ti vengo a cercare con la scusa di doverti parlare
Perché mi piace ciò che pensi e che dici
Perché in te vedo le mie radici”
Franco Battiato, “La cura”

di Rosaria De Angelis

La patologia dei legami
È su questa canzone che ho iniziato a pensare a cosa poter condividere con voi. Le “radici” mi hanno rimandato subito al tema… il testo della canzone trasuda l’assenza. Nella storia che voglio raccontarvi c’è stata una trasformazione in “continuità”. Tutto è mutato. Siamo partiti da una storia che sapeva di fallimento, ma come tutti sappiamo il fallimento è l’anticamera del progresso. È alla sua base. Esso rimanda al concetto, intrinseco, di prove.
Federico, nome di fantasia. Adesso ha 17 anni, ma quando l’ho conosciuto ne aveva 9. Ragazzino sveglio, sia otto anni fa che ora. Occhio vispo, carattere allegro sempre con la battuta pronta, un giocherellone. Molto curato nell’aspetto della sua persona. Capello sempre a posto…taglio sempre particolare. Giubbottini sottili anche in pieno inverno.
“È la moda Rosaria!”

Detto così, vi sembrerà un racconto di una storia di vita molto leggera. E invece no. Aveva una pesantezza la sua storia che ad oggi mi chiedo: quel ragazzino di nove anni, dove ha preso tutta la forza per andare avanti? Aveva sul volto la tragicità trasformata in sorriso. Per certi versi inquietante. Un attore praticamente. Uno, nessuno, centomila è stata subito la mia assonanza. Chiedermi chi mi trovassi di fronte mi ha aiutato sicuramente ad iniziare a sviscerare il problema.
Era un bambino che era vissuto, da circa 7 anni, con i nonni materni. Lontano, anche in termini di chilometri, dalla madre, che intanto dopo aver avuto lui da una relazione “occasionale” si era rifatta una vita. Che poi mi sono sempre chiesta cosa significasse “rifarsi una vita”… La vita è una. Uno non si rifà la vita. La vita è sempre: quando sei fallito e quando ti risollevi. La vita è nel mentre tra queste due condizioni.
Federico aveva altri due fratelli da parte di madre, con i quali non aveva poi nessun tipo di rapporto. Da parte del padre non si è mai saputo niente. Lui non cercava il bambino e la madre non lo scomodava…

“Federico i tuoi nonni dicono che sei spesso triste. È vera questa cosa?”
“E perché mi hanno portato da te per chiedermelo?”
“Secondo te perché?”
“E perché mi rispondi con un’altra domanda?”

Mi venne descritto dalle sue insegnanti come “indisponente e oppositivo”. Io non lessi queste “diagnosi”. Piuttosto sentii di trovarmi di fronte ad un bambino cresciuto in fretta che ovviamente poneva delle domande lecite e concrete. Attorno gli avevano costruito una vita “finta”, irreale che per certi versi era pure disumana. Disumana nel senso che era stata tolta l’umanità all’aspetto relazionale. Tutto era controllato. Tutto incasellato perfettamente, quasi a non voler avere scambi relazionali. La vita del bambino era organizzata più o meno così: scuola, pranzo (da solo pur avendo i nonni intorno) mezz’ora di riposo (guardando tv), doposcuola, poi palestra, pianoforte, piscina. Rientro in casa, doccia, cena (stavolta tutti insieme), mezz’ora di tv e a letto.

“E perché mi hanno portato da te per chiedermelo?”
La domanda di Federico riecheggiava nella mia mente. E dopo anni ancora la ricordo. Il senso di delega. Il chiedere tramite terzi. Domando, ma non voglio la risposta. In quel contesto, anche una semplice febbre avrebbe alterato l’organizzazione dell’intera famiglia composta dai nonni. Federico non ha mai avanzato la richiesta di non voler uscire. Lo stavano abituando alla loro assenza. E lui alle assenze era abituato. La deprivazione della figura materna in Federico aveva sicuramente generato quello che definiamo “collegamento deficitario tra corteccia cerebrale e il diencefalo”. Quando facciamo riferimento a tale connessione ci stiamo riferendo ad una attività di sperimentazione del bambino di una relazione emozionale, ma anche di tipo viscerale, tra ciò che è il proprio mondo interno e ciò che lo circonda, ossia la realtà.

Sperimentare una tale deprivazione definita “da contatto”, può generare nel bambino tutta una serie di disturbi evolutivi, che trovano la loro evidenza nel campo motorio, cognitivo, linguistico. Per queste motivazioni, e non solo, sono in forte aumento depressioni e disturbi del comportamento nella fascia infantile.  Il modello relazionale che fa da base è quello dato dai genitori! Il mio progetto sarebbe stato non quello di agire sul minore: con un pacchetto così organizzato avrei potuto fare ben poco. Necessario, invece, è stato quello di lavorare su quel resto che lui aveva: i nonni. Fare terapia con loro è stato entusiasmante per certi aspetti, per altri invece completamente sconcertante. C’era una modalità che prevedeva il passaggio tra due poli opposti, in qualunque modalità ci si trovasse. Una modalità intensa e confusionale. Un andirivieni senza fine: ci si sentiva su una giostra. Per evitare che si ripartisse al prossimo giro ed interrompere l’inserimento del gettone ce n’è voluto!

“Dottoressa, con tutto il rispetto, ma noi siamo stati anche a fare visita da Professori, da gente, che nulla togliere a voi, hanno solo da insegnare! E tutti hanno confermato che non siamo noi il vero problema, ma la difficoltà l’ha posta sua madre, nostra figlia, nell’essere andata via e a non pensare al figlio.”
Capisco. Ma adesso cosa dovrei fare? Dovrei anche io allinearmi con questi pensieri o mi lasciate la libertà di pensarla diversamente?”

Spesso, palesare un atteggiamento libero può indurre, in certi utenti, la sfrenata voglia di “azzerarti”. La parolina magica
“professori” avrebbe dovuto avere il potere di intimorirmi in una ipotetica diagnosi? Ma riflettiamo. Quanta paura può fare una diagnosi? E perché? Perché forse rimanda anche a loro? Al peso di assenze o di sbagliate presenze?

Continuammo i nostri incontri per circa due anni. Federico l’ho rivisto, per una cosa stavolta davvero leggera…sempre alla moda…sempre col giubbottino leggero e sempre col sorriso sulle labbra. L’augurio a ciascuno di noi è che anche se le cose dovessero andare come su una giostra, è importante sempre sorridere alla vita. Noi non possiamo cambiare gli eventi o le scelte degli altri nei nostri confronti, ma abbiamo l’opportunità di scegliere come reagire … buona reazione a tutti!

 

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