Gianluca Marchetti* – La custodia e la tutela dei più piccoli e delle persone vulnerabili è un percorso lungo e faticoso che richiede il coraggio di essere intrapreso e poi perseguito con costanza e senza scorciatoie. Un primo passo da fare è acquisire consapevolezza di come la tragica realtà degli abusi sui minori sia trasversalmente diffusa coinvolgendo in modo significativo le famiglie o l’ambito parentale in misura di gran lunga superiore ai due terzi dei casi. Come poi dimenticare che il turpe mercato della pedopornografia non solo non accenna a diminuire, ma è in costante crescita? Quella degli abusi è infatti un’emergenza sociale grave e globale che certamente esige un intervento repressivo importante, ma ancor di più una presa di coscienza personale e collettiva, un vero e proprio cambio di mentalità. Prevenire situazioni di abuso non può ridursi alla semplice reazione di protezione dei minori che subiscono o che potrebbero subire violenza (child protection), ma necessita di uno sforzo complessivo che dalla reazione passi alla pro-azione per garantire ai più piccoli ambienti e relazioni sicure ed efficaci per crescere al meglio (safe guarding). In tutto questo la Chiesa non è ferma alle postazioni di partenza, ma da sempre in prima linea, occupandosi e prendendosi cura dei più deboli e fragili con grande e indiscussa generosità di persone e istituzioni, perché la cura, la custodia e la protezione dei piccoli sono parte integrante della sua natura. Vero è purtroppo che la piaga degli abusi sui minori e le persone vulnerabili colpisce pure la Chiesa non solo perché costituita di famiglie, ma anche perché in questi crimini sono stati coinvolti alcuni che nella Chiesa hanno ruoli di responsabilità e guida.
Dunque, se crimini gravissimi come gli abusi sessuali sui minori vanno perseguiti con la massima severità ovunque essi accadano, ancor più se in ambito ecclesiale, tuttavia la loro punizione, per quanto assolutamente necessaria e doverosa, non può ritenersi sufficiente: non è certo possibile cancellare quanto avvenuto, ma ci si può legittimamente domandare cosa fare perché non capiti di nuovo e non capiti ad altri. In altre parole ci si può chiedere se dall’orrore dell’abuso e magari dagli errori di una gestione indifferente, negligente se non complice possano venirne indicazioni non solo di reazione al delitto, ma di prevenzione e pro-azione. È questo l’indirizzo assunto dalla Chiesa che è in Italia con le Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili approvate dall’Assemblea generale dei Vescovi del 20-23 maggio 2019: partendo dall’ascolto delle vittime, prendere coscienza del dramma degli abusi e del loro effetto devastante sulle persone e sulla comunità per quella conversione personale e comunitaria che sollecita, motiva e supporta la costruzione di ambienti sicuri per i più piccoli. Solo su queste solide basi si possono prevenire comportamenti delittuosi. Se di grande importanza è dunque favorire l’emersione di questi delitti, anche se accaduti in passato, perseguendoli quindi senza tentennamenti, non di minore priorità è far maturare la consapevolezza e corresponsabilità comunitaria vincendo così le logiche della delega e dell’indifferenza. Si tratta, dunque, di informare e formare la comunità in tutte le sue espressioni, specialmente coloro che operano, a qualsiasi titolo, in rapporto con i minori e le persone vulnerabili, consolidando in questo modo una cultura della cura, della tutela e della protezione dei più piccoli.
*Diocesi di Bergamo. Membro del Consiglio di presidenza del Servizio nazionale per la tutela dei minori della CEI
I servizi tutela minori
Sulla strada della formazione come strumento di prevenzione, si è mossa con decisione la Chiesa che è in Italia che ha dato vita a una rete fitta e capillare di Servizi per la tutela dei minori su tutto il territorio nazionale. In seguito all’istituzione, presso la Conferenza Episcopale Italiana, del Servizio nazionale per la tutela dei minori sono stati costituiti infatti i servizi regionali affidati a un vescovo delegato, un coordinatore e un’équipe di esperti. In ogni diocesi è stato nominato almeno un referente locale. Così, in meno di due anni, nonostante i tempi non facili della pandemia, è nato un Servizio per ciascuna delle 16 regioni ecclesiastiche; sono stati nominati 226 referenti diocesani, uno per ogni diocesi. Si tratta di una vera e propria rete nella quale sono coinvolte centinaia di persone, soprattutto laici, uomini e donne, che con competenza, professionalità e passione ecclesiale, coordinano un coraggioso sforzo formativo. Spesso in collaborazione con altri enti, associazioni e realtà del territorio come scuole, università, servizi sociali e sanitari, pubblici e privati, supportano la formazione di migliaia di operatori pastorali negli ambiti dell’identificazione dei fattori di rischio, della progettazione e del monitoraggio delle strategie di prevenzione, delle modalità relazionali. Il tutto ponendo al centro la dignità e l’integrità della persona umana, soprattutto dei più piccoli e vulnerabili.
I Centri di ascolto
Nella consapevolezza che solo ascoltando le vittime si può prendere coscienza degli effetti devastanti dell’abuso sul diretto interessato e sull’intera comunità, la Chiesa che è in Italia ha deciso di costituire, all’interno dei Servizi tutela minori, una rete di Centri di ascolto. L’obiettivo è quello di offrire un servizio pastorale di primo ascolto e di accoglienza a chi dichiara di aver subito, in ambito ecclesiale, abusi sessuali e/o di potere e di coscienza e a chi intende segnalare tali abusi da parte di chierici, religiosi e religiose, operatori e operatrici pastorali. Ai 98 Centri di ascolto, nati in 157 diocesi (70% del totale) che operano a livello diocesano o interdiocesano, ci si può rivolgere per informazioni sul tema della tutela in ambito ecclesiale, sulle procedure e le prassi per la segnalazione di abusi, oltre che per avere sostegno nell’individuazione del percorso (medico, spirituale, legale,…). Il Centro di ascolto non è il luogo di un accompagnamento psicoterapeutico o di assistenza legale né uno sportello per la raccolta di denunce che si sostituisce all’autorità giudiziaria: in nessun modo l’autorità ecclesiastica intende subentrare a quella dello Stato alla quale, al contrario, incoraggia che ricorrano le vittime di questi delitti gravissimi. Grazie alla presenza di persone adeguatamente formate, il Centro offre un ascolto accogliente, centrato sulla vittima, capace di abbracciare la sua sofferenza e la sua ricerca di giustizia, senza compromessi, scorciatoie, zone d’ombra.
Su Clarus, un primo approfondimento dedicato all’impegno messo in campo dalle Diocesi di Alife-Caiazzo e di Teano-Calvi. CLICCA