Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)
Ascensione del Signore – Anno C
At 1,1-11; Sal 46; Eb 9,24-28; 10, 19-23; Lc 24,46-53
Il mistero dell’Ascensione è il primo dei due approdi della Pasqua: la carne dell’uomo che il Figlio ha assunto raggiunge la meta del “grembo di Dio”; il secondo approdo lo celebreremo domenica prossima nel mistero della Pentecoste in cui il dono dello Spirito, promesso dal Risorto, viene ad abitare il credente e la Chiesa per condurli alla “trasfigurazione” di quella meta a cui già il Cristo, ascendendo al Padre, è pervenuto.
Impensabili doni di Dio, esiti di portata tanto grande che la riflessione dei cristiani è ancora e sempre troppo debole su di essi.
Quest’anno la liturgia ci fa ascoltare la finale dell’Evangelo di Luca a cui fa da specchio il racconto dell’Ascensione con cui inizia l’altro libro dello stesso Luca: gli Atti degli Apostoli.
Due racconti dello stesso evento, scritti dallo stesso autore, ma con due narrazioni diversissime. Atti, infatti, pone l’Ascensione al quarantesimo giorno dopo la risurrezione e l’Evangelo, invece, nel giorno stesso di Pasqua, in quel lunghissimo giorno di Pasqua nel quale, per l’Evangelo di Luca, accade tutto: le donne vanno al sepolcro, danno l’annunzio ai discepoli increduli, i due di Emmaus incontrano il Risorto e poi ritornano a Gerusalemme, i discepoli raccontano loro che, in quello stesso giorno, Pietro ha incontrato il Risorto, il Risorto stesso appare agli undici riuniti nel cenacolo e infine c’è l’andata al Monte degli Ulivi e l’Ascensione!
Luca esprime in due modi diversi una realtà di cui è ben convinto: il Risorto è presente per tutto il tempo della Chiesa con i suoi … il tempo della Chiesa, adombrato dal numero quaranta (numero che nella Scrittura indica “tutto il tempo giusto”!) negli Atti, o da quel lunghissimo giorno pasquale dall’Evangelo, è tempo in cui si può davvero fare esperienza del Risorto: si può mangiare e bere con Lui in una comunione concreta che riguarda tutto il nostro umano, si può ascoltare la sua parola e percepire le sue promesse, si può ricevere da Lui benedizione!
Il tempo della Chiesa è colmo di questa benedizione del Risorto che è la sua presenza che salva e che chiama con il nome di figli tutti gli uomini «amati dal Signore» (cf. Lc 2,14).
L’Evangelo di Luca era iniziato con una benedizione incompiuta, impossibile, una benedizione sospesa dal “mutismo” in cui (cf. Lc 1,20) è precipitato il sacerdote Zaccaria dopo aver detto parole insipienti ed incredule all’angelo Gabriele che gli aveva annunziata la nascita di un figlio. Uscito dal santuario Zaccaria non poté benedire il popolo che attendeva fuori (cf. Lc 1,21-23); una benedizione sospesa, non data; Luca la terrà così, sospesa, per tutto l’Evangelo, finché nell’ultima scena, la scena appunto dell’Ascensione, ecco finalmente quella benedizione che la Prima Alleanza aveva lasciata incompiuta per mano di Zaccaria … Qui, in questa ultima pagina dell’Evangelo, Luca per ben due volte usa il verbo “benedire” (eulogheĩn): la prima volta, con un “aoristo”, indica un’azione puntuale che il Risorto compie sugli Undici («li benedisse»), la seconda volta mostra una durata nel tempo di questa benedizione (en tõ eulogheĩn autòn = «nel benedire loro»); è quella benedizione tanto attesa che si estende su tutto il tempo della Chiesa … che raggiunge anche noi qui, ora!
Questa benedizione, che è presenza che salva, che è compromissione di Dio con noi e con la nostra storia, ha le sue salde radici nel mistero dell’Ascensione … è dalla carne di Cristo, che è la nostra carne trasfigurata per sempre, che viene benedizione per ogni carne, per ogni uomo. Davvero in Cristo Risorto si compie la promessa fatta ad Abramo («In te saranno benedette tutte le genti della terra» cf. Gen 12,3). Il mistero dell’Ascensione non è allora mistero di separazione, è invece mistero di estrema unità tra la nostra natura umana e Dio! Per sempre uomo e Dio sono uniti in Cristo risorto e asceso al Padre. La carne del Risorto, con i segni della Passione e della morte, porta in Dio la nostra umanità concretamente storica, con il suo vivere, il suo soffrire e perfino con il suo morire…
L’Ascensione ci mostra la meta e ci chiede di essere, come Chiesa, ancora corpo di Cristo nella storia! Se il corpo di Gesù è stato sottratto alla vista ed al tatto dei suoi in questo giorno, il corpo di Cristo che è la Chiesa oggi riceve il mandato di essere la visibilità di Lui, la sua tangibilità in ogni oggi della storia.
Si celebra allora questo mistero se si permette al Cristo di essere ancora presente nella storia attraverso le nostre vite compromesse.
Nel giorno dell’Ascensione la Chiesa è chiamata a rendersi conto che il Risorto non è partito dalla storia ma vi rimane presente nel corpo ecclesiale che custodisce la Parola, i Sacramenti e soprattutto vive la koinonìa che è quella fraternità in cui il Cristo, seduto alla destra del Padre, si rende visibile e tangibile a tutti gli uomini!
La Chiesa, vivendo questa presenza altra del Risorto, è fatta testimone di questa stessa presenza che essa può e deve narrare con la sua vita.
Se l’Ascensione è approdo dell’Incarnazione è anche rivelazione ai credenti di quale sia la meta di ciascuno e di tutti nella storia, di quale sia la meta del creato di cui l’uomo è vertice: la meta è lì «dove è seduto Cristo alla destra di Dio» (cf. Col 3,1)!
Se si smarrisce questa meta della storia oltre la storia che il mistero dell’Ascensione ci racconta, il rischio è grande: la Chiesa può pensare di essere nel possesso definitivo e non pellegrina, di essere il Regno e non seme del Regno, di essere meta e non di essere strada! E questo è davvero pervertente l’Evangelo ed è pericolosissimo!