Home matese moderno contemporaneo Valle Agricola, tanto vicino quanto lontano. Storia di un “prezioso” borgo matesino

Valle Agricola, tanto vicino quanto lontano. Storia di un “prezioso” borgo matesino

Ricco per natura, arte e tradizioni, Valle Agricola rappresenta uno dei luoghi più incantevoli del Parco del Matese, tanto bello quanto poco collegato con i centri vicini. La rubrica "Matese tra Moderno e Contemporaneo" questa settimana ospita una lettura "poetica" della storia di Valle Agricola a firma dell'avvocato Luigi Cimino

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Matese tra Moderno e Contemporaneo

Veduta di Valle Agricola

di Luigi Cimino – Quando Iddio creò il Matese pensò alle montagne, ai fiumi, ai laghi, agli altopiani, alle sorgenti di acqua pure e fresche, alle grotte, ai dirupi ed agli abissi, alle alture ed alle valli, ai poggi e alle radure dove localizzare i paesi e le città che lo compongono e creò Alife, la più antica di tutti, nella fertile pianura alifana, bagnata dal fiume Torano, Piedimonte d’Alife ai piedi dell’imponente Massiccio, coronata da tre monti e tre valli e irrigata dal Maretto e Torano e munendo la città antica sorta in altura con strade e vie d’acqua che dalle sorgenti l’attraversavano e l’arricchivano di itticoltura, di attività artigianali, di piccoli laboratori, di lavori svariati, di chiese e slarghi, di scuole e banche, di abitanti civili ed attivi, di persone emerite ed illustri, di duchi, duchesse, conti e contesse, baroni e vassalli, di pastori ed industrie della lana e del cotone, e che resero  una terra ricca, fertile e fiera.

Con Alife sorgevano paesi satelliti come Castello d’Alife, San Gregorio, Letino, San Potito Sannitico, Sant’Angelo d’Alife e Gioia Sannitica. Coevemente sorgevano, un po’ più  lontani, Letino, Prata Sannita, Pratella ed Ailano, con Fontegreca, Ciorlano e Capriati a Volturno. Pensò finanche di munire la zona nord-ovest del Matese, formata da piccoli paesi isolati, di due fiumi, il Lete ed il Sava, per dar modo, a chi abitava quella zona, di avere acqua in abbondanza per vivere. Si rese conto che i due fiumi non bastassero per gratificare del tutto quella zona del Matese, e pensò di inserire una grande vallata ricca di sorgenti e rigagnoli, di pianori e piccole valli, di terreni ardui e di montagne scoscese, di aria ed acqua pura, ma decise anche che fosse bella ma impenetrabile, adatta a persone che non amassero gli agi, che piuttosto dovesse guadagnarsi duramente da vivere. E così creò una bella vallata, ma quasi totalmente chiusa da una chiostra di monti che la circondassero quasi del tutto, tranne che da un lato, verso Ponente, luogo dove si andava a coricare il sole verso il mare lontano, con la punizione di non poterlo vedere se non dall’alto di essi.

Avvocato Luigi Cimino

L’uomo trovava, perciò, difficoltà a raggiungerla ed ancor più preferivano gli agi della pianura rispetto alle negative asperità della Valle immersa tra i monti. Eppure, pochi alla volta, a gruppi, prima i pastori e poi quelli armati si avventurarono anche in questa vallata da scoprire, da conoscere, da assaporare, da condividere. Ma le difficoltà erano tante e spesso insormontabili e sempre più pochi si azzardavano a recarvisi, anche per evitare strapiombi pericolosi,  pendenze elevate, terreni per lo più aridi ed incoltivabili. Eppure su queste montagne si fermarono uomini forti, arditi come la gens etrusca e successivamente i sanniti, che si organizzarono in vicus e lo difesero sotto gli ordini dell’unico tutos. Sorse così il Vico Sannitico di San Silvestro o Pesco di San Silvestro ma se ne era del tutto dimenticato ed aveva lasciato perdere corrugando le montagne, ritenendo chiusa la faccenda. Ma un giorno una duchessa giovane raggiunse attraverso colli e piccole valli, con il suo cavallo, la vasta vallata e se ne innamorò: colori dell’iride le si pararono davanti sotto forma di ruscelli, colli aprichi e fiori e piante multicolori mentre un’aria fine le invadeva i polmoni e le penetrava nel sangue tanto da rinvigorirla, renderla più briosa e ricca di vita rinnovata e nuova.

Le pareva di essere giunta in paradiso e da allora vi ritornò di nascosto ed in compagnia per godere di quell’aria frizzante, della purezza dell’aria di montagna, assaporare la brezza che scendeva di sera dai monti e che la mattina si purificava con l’osmosi in senso contrario. L’acqua leggera delle sue sorgenti le purificava il fegato ed il corpo, le rinforzava le membra e le rinvigoriva le gote che riempiva di quel rosso caloroso e piacente. La sua vita si beava dei prati in fiore, del canto degli uccelli, della varietà innumerevole dei fiori, delle piante da frutto, degli immensi campi arati e degli orti sparsi attorno al paese, del cielo azzurro d’estate e di quello plumbeo e carico di nuvole d’inverno, del cielo stellato e della luce argentea della luna che illuminava le cose, gli animali e gli uomini. Si convinse nel tempo della necessità di creare una residenza ed un vero e proprio ampio Castello anche per difesa e, nell’anno mille iniziarono i lavori che si consolidarono nel tempo e fu creata una fortezza possente e grifagna dal lato est della contea di Venafro a tutela dell’intero ducato dal lato orientale, cioè dal lato di Valle Agricola, munito di torri e di mura e fu realizzato sulle propaggini naturali del monte Cappello che finisce a picco sul torrente Ravone, che attraversa la Valle longitudinalmente.

Nel tempo si articolò in un vero e proprio locus abitato e di soldati che ne apprestavano la difesa. All’ombra della Terra Murata e della munifica fortezza medioevale cominciarono ad essere lavorati i terreni circostanti dagli abitanti che alternavano il lavoro agricolo e pastorale alla difesa della località murata. Così, fuori le mura, cominciarono ad essere costruite strade nuove con case agricole, quasi sempre di due piani, quello terreno adibito normalmente a stalle e a depositi di derrate agricole e, quello al primo piano, ad alloggio delle persone, molto spesso munite di camino per la cucina e per il riscaldamento. La chiesa all’interno della Terra murata, dedicata a San Giovanni, non era più sufficiente a contenere la popolazione aumentata, e perciò iniziarono a costruirne una più bella e più ampia, nella zona più alta del piano naturale di roccia, una vera e propria chiesa romanica a tre navate, con una splendida facciata in pietre locali con ampio portale principale con scalinata in pietra e due ingressi laterali e ampi finestroni che la illuminano di sole, poi dedicata al Patrono San Sebastiano. Ancor prima dell’anno mille fu costruita la chiesa di Santa Croce a due navate e con affresco del Pantocrator di particolare rilevanza religiosa, artistica e storico – locale. Un’altra, di epoca più recente, sempre extra Moena, dedicata a Sant’Antonio, di unica navata, poco fuori le mura nell’omonimo largo.

Rimangono simbolo del passato medioevale in particolare la Torre dei Pandone del 1400, l’affresco nella chiesa della Croce con la rappresentazione urbana, all’epoca, del piccolo centro e la porta medioevale di ingresso alla terra murata, rappresentata nel medioevale stemma in pietra conservato nella stessa chiesa. Le sorgenti di acqua pura della Prece, Quaranelle, Quercia e San Nicandro fanno inoltre da corona all’aria di media montagna, ai colli aprichi, alle splendide passeggiate lungo le dorsali della Valle che conducono ai monti ed alle località di alpeggio, con pianori e vallate impareggiabili e alla riscoperta dei vicini centri del Matese, senza lasciare imperscrutati Monte Janara (m.1575), Monte Cappello (m. 1406) e Monte San Silvestro (m. 1083) la montagna dei Pentri e del primo vicus sannitico. E senza sopprimere l’anelito di sempre di collegarsi ai centri vicini, di avere l’opportunità, come gli altri, di vivere una vita sociale nuova, aperta all’economia globale, ai normali flussi di incontri, di trattazione, di sviluppo.

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