Ricordi sbocciavano le viole / con le nostre parole:
non ci lasceremo mai / mai e poi mai.
Vorrei dirti, ora, le stesse cose
Ma come fan presto, amore
ad appassire le rose / così per noi.
Fabrizio De Andrè
Dal Centro diocesano per la Famiglia ‘Mons. Angelo Campagna’ ci giunge la storia di Giuseppe, Katia e Jacopo (nomi di fantasia): è il racconto della classica separazione in cui per anni, nella delicata infanzia del figlio, la battaglia tra i genitori è tutta concentrata sul diritto di avere il ragazzo con sé sottraendogli un pezzo di fase evolutiva (sociale, affettiva, relazionale) che non tornerà più.
E con quali conseguenze?
Separarsi non è improvvisare una avventura di vita.
di Concetta Riccio
Non è la prima volta che torno sull’argomento lo so, ma lo considero ormai “un’emergenza sociale” su cui urge un confronto, un tavolo di lavoro, qualcosa che rompa questa coazione.
Stiamo parlando delle separazioni e del dramma delle “armi di ricatto” che noi, intesi come società, lasciamo in mano ai genitori. Sappiamo bene, infatti, che il diritto a ricorrere alla giustizia non può essere negato a nessuno, ed è una garanzia per tutti, ma non possiamo restare inermi di fronte a migliaia di coppie che utilizzano un diritto come “arma”, e tra queste “armi” la più affilata si chiama “figlio”. Sia chiaro che non bisogna generalizzare, ci sono tante situazioni dove è necessario intervenire e, inoltre, anche questo atteggiamento, che in maniera provocatoria ho chiamato “copione” è sempre e comunque frutto di sofferenza, emozioni, traumi che la coppia non ha saputo gestire.
Giuseppe e Katia da quindici anni si fanno una guerra spietata in tribunale, entrambi chiedono l’affido esclusivo di un figlio che è ormai un ragazzo, nonostante ciò arrivano con una sentenza che prevede un sostegno alla genitorialità. Sembrano quasi meravigliati della mia reazione, del mio iniziale stupore e del fatto che, la prima cosa che faccio è catapultarli nella realtà; quando riferisco loro che il percorso si farà ma per certi versi è tardi, che Jacopo nella sua infanzia è stato privato di una serie di cose che nulla potrà restituirgli, sembra che li ho improvvisamente scaraventati giù da una nuvola, risvegliati bruscamente da un sogno, non so che riesco con queste frasi bizzarre ad immortalarvi il surreale momento vissuto qualche anno fa nel mio ufficio.
Solitamente quando ripercorro le ultime tappe storiche della separazione mi focalizzo su tre “momenti”. Una prima fase vede la donna in una condizione di fragilità, per ragioni economiche e culturali, infatti, era molto complicato per una donna arrivare alla scelta della separazione. Successivamente la giurisprudenza ha teso una mano alle madri, propendendo per l’affido dei figli verso questa figura, considerata fondamentale nell’accudimento e quindi prevedendo una serie di azioni in favore della donna. Sono gli anni di padri danneggiati, “i nuovi poveri” si definiscono, in quanto queste misure li hanno privati, a volte, di un tetto e del necessario per vivere. Nascono movimenti e associazioni di padri che rivendicano il loro ruolo. Con la legge n. 54 del 2006 e la nozione di affido condiviso si pensava ad una svolta, è qui, credo, che arriviamo ad una terza fase, quella attuale. Vediamo donne sempre più indipendenti, per cui la battaglia economica è spesso inesistente e lascia il posto a quella per l’affido o ancor peggio a quella che vede uno dei due genitori sottoporre l’altro a una serie di valutazioni; la stessa persona che qualche anno prima si era scelta come partner e poi genitore dei propri figli, oggi sottoposta ad accuse riguardanti la sua salute psicologica o semplicemente la sua capacità genitoriale.
Vi sto parlando di coppie genitoriali, tante, persone come noi, travolte da una spirale di odio, rancore, gelosie. Disposti a investire tutto per vincere una guerra inutile. Pensate per un attimo a Giuseppe e Katia, uno di loro due mi ha confidato di aver speso davvero tanto per queste battaglie legali, non solo economicamente, ma anche in termini di tempo ed energie, e pensate un attimo a Jacopo, un’infanzia alle prese con genitori “avvelenati”, conteso, con dei riferimenti educativi ambigui, oggi ci aspettiamo che scelga? Oggi Jacopo decide in base a “utilità o comodità”, durante la settimana con la madre sì, poi magari c’è un concerto nella città dove vive il padre e con grande sorpresa della madre le invia un sms in mia presenza “questo weekend sono da papà”.
A mio avviso nessun cambiamento culturale e nessuna normativa di riferimento ha colmato il vuoto più grande, quello di persone che non erano affatto preparate a gestire una separazione. Ovviamente se dicessi ad ogni coppia che incontro “voi non avete accettato veramente la separazione”, le risposte che raccoglierei sarebbero di negazione. Eppure nuove risposte vanno trovate, tutti possiamo fare qualcosa, non solo noi professionisti.
La cura della famiglia passa attraverso ognuno di noi.