Home Cinema Elvis: l’estro di Baz Luhrmann incontra il rivoluzionario “The King”

Elvis: l’estro di Baz Luhrmann incontra il rivoluzionario “The King”

Al cinema dal 22 giugno il film sulla carriera del simbolo del rock ‘n’ roll

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Noemi Riccitelli – Presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Cannes, Elvis diretto dal regista australiano Baz Luhrmann è al cinema dal 22 giugno.
Si tratta “solo” del sesto film per Luhrmann, ma il modus operandi del regista è tale che ogni sua opera diventi unica e preziosa, colmando gli anni che intercorrono tra un lavoro e l’altro, facendo sì che le sue storie abbiano un impatto, rimanendo impresse negli spettatori.
Il film racconta il re del rock ‘n’ roll, cui presta il volto il giovane Austin Butler, dal punto di vista del suo ambiguo manager, il colonnello Tom Parker, interpretato da Tom Hanks.
Ascesa e declino di Elvis Presley, simbolo musicale, culturale, sociale per oltre venti anni, in cui ha dettato stili e mode e sfidato limiti e convenzioni.
Mississipi, anni ’50. Elvis Presley (Austin Butler) è un giovane e talentuoso cantante che ama esibirsi ed esprimersi attraverso la musica: la sua ispirazione sono i ritmi coinvolgenti e suadenti del rhythm& blues, assimilati ascoltando i canti spirituali della comunità afroamericana in cui era cresciuto, così come i riff country che risuonavano negli Stati del Sud, in voga in quel momento.
L’incontro con l’impresario Tom Parker (Tom Hanks), uomo avido e senza scrupoli, cambierà di certo la vita del giovane Elvis, consacrando al grande pubblico il suo talento, ma al tempo stesso questa unione artistica si rivelerà malata e distorta, decretando anche la fine di un mito.

È la voce di Tom Parker, infatti, che narra la storia di Elvis, rivolgendosi direttamente al pubblico mentre parla del “suo ragazzo”.
Il regista porta lo spettatore direttamente nel flusso dei ricordi del cinico e razionale agente: un caleidoscopio di immagini e suggestioni che rievocano il repentino e magico percorso artistico che ha visto un semplice ragazzo di provincia diventare un’icona del rock ‘n’ roll.
Ancora dopo 45 anni dalla sua morte, il solo nome è diventato proverbiale per indicare un certo atteggiamento, un modo di proporsi, “alla Elvis”: dunque, non c’è dubbio che si sia trattato di una personalità rivoluzionaria.
Indumenti aderenti, trucco sugli occhi, capelli lucidi di gelatina con un prorompente ciuffo, movimenti sensuali al limite della censura del tempo: tratti connotativi che caratterizzano ancora band e artisti del nostro tempo, nonostante una parte dell’opinione pubblica si ostini (come ai tempi di Elvis, del resto) a considerarli come una degenerazione della contemporaneità, ma in realtà si tratta di tocchi artistici che arrivano, appunto, da lontano.

La regia di Baz Luhrmann è patinata, eccentrica, caratterizzata da movimenti frenetici della macchina da presa, un montaggio altrettanto convulso, che tuttavia riproduce proprio i vorticosi movimenti di bacino (Elvis “The Pelvis” il suo soprannome) e le movenze sensuali dell’artista.
Costumi, scenografie (la cui cura è di Catherine Martin e Karen Murphy) e musiche (Elliott Wheeler) sono vivaci e colorate, esaltati da una fotografia brillante (Mandy Walker): è vero, il tutto nel complesso può apparire eccessivo e forse anche confusionario, ma è lo stile Luhrmann e in questa occasione l’estetica e la tecnica del film aderiscono alla vicenda del protagonista, permettendo di percepirne la stessa dimensione di entusiastico furore degli esordi, fino all’intimo disagio del declino.

I due principali interpreti, Austin Butler e Tom Hanks, sono straordinari nei rispettivi ruoli.
Il giovane Austin Butler oltre ad avere una somiglianza evidente con il suo personaggio, ha offerto un’interpretazione intensa e appassionata, prestando voce e corpo al Re: un ruolo che certamente gioverà alla sua futura carriera.
Tom Hanks, dal canto suo, non ha bisogno di presentazioni e in questo film, nonostante il trucco prostetico che ne altera i connotati, conferma la sua comprovata e brillante esperienza artistica.
Da menzionare, inoltre, il contributo della band italiana Maneskin alla colonna sonora del film, con la cover del brano If I can dream cantato dallo stesso Elvis in diverse occasioni della sua carriera.

È vero che i racconti delle vite di alcune star sembrano, a volte, tutte uguali: una parabola discendente dal percorso già segnato, ma a fare la differenza è lo stile di queste narrazioni.
Elvis di Baz Luhrmann non si classifica al pari delle ben note e precedenti opere del regista, ma è di certo una visione originale e interessante.

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