Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)
XIV domenica del Tempo ordinario – Anno C
Is 66, 10-14; Sal 65; Gal 6, 14-18; Lc 10, 1-12.17-20
L’Evangelo è annunzio di gioia e di pace per tutto l’uomo e per ogni uomo.
E’ una gioia, cioè, che vuole afferrare tutto l’uomo, dunque, nella sua interezza; nessuna scissione nell’uomo dinanzi a questo annunzio di gioia … il testo di Isaia con cui si apre la liturgia della parola di questa domenica, già ci ha fatto sentire il sapore dolce di questa gioia grande … una gioia che afferra tutto l’essere dell’uomo: la sua carne, i suoi pensieri, i suoi progetti, i suoi sogni, il suo passato, il suo futuro … è talmente grande questo annunzio di gioia dell’Evangelo che non può restare chiuso in pochi; l’Evangelo ha l’esigenza di essere “gridato” a tutti gli uomini!
Il racconto di Luca ha chiara la consapevolezza di questa destinazione universale di un simile annunzio. Luca ci aveva, fin dall’inizio del suo Evangelo, fatto sentire il canto degli angeli del Natale: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore!» …ora, questi uomini tutti amati dal Signore, sono tutti destinatari dell’Evangelo che Gesù è venuto a portare. Luca, per questo motivo, pone, oltre all’invio dei Dodici (cf. 9,1-6), un altro invio, quello dei Settantadue discepoli. L’annunzio del Regno non è solo affidato agli Apostoli, ma a tutti i discepoli … tutti i discepoli per tutti i popoli. Il numero settantadue (che è sempre un multiplo di dodici) è, per la Bibbia, il numero di tutti i popoli che ci sono al mondo.
Gesù però qui non si accontenta di inviare, ma indica con precisione anche il modo in cui l’inviato deve andare nel mondo, indica come l’inviato renderà credibile quell’annunzio di gioia, di pace, di umanità nuova.
Gli inviati, in primo luogo, devono sempre ricordare di essere solo dei “precursori”, uomini cioè che precedono l’arrivo dell’unico Inviato che salva; il momento in cui, allora, gli inviati giungono presso gli uomini non è un punto di arrivo, di conclusione, è invece un punto che apre a quell’ ulteriore che compirà solo la venuta di Colui che deve venire. È solo Gesù che venendo compie la salvezza.
Gli inviati devono poi sapere che c’è sempre una sproporzione tra l’immensità della messe e la pochezza degli operai e per questo ricevono un primo imperativo: «Pregate!». Chi prega sa che non tutto è nelle sue povere mani, chi prega non si fida di sé, chi prega è davvero lontano da ogni arroganza e autosufficienza; non può essere autosufficiente chi deve annunziare un Regno che viene; l’autosufficiente si nutre di possesso, l’uomo del Regno è proteso verso un futuro in cui tutto gli verrà donato. Inoltre Gesù chiede di pregare perché arrivino altri operai nella messe. Il che significa che l’uomo del Regno dichiara di avere bisogno di fratelli, dichiara di non essere bastevole da solo a realizzare il progetto di Dio. In verità, fin dal principio, Gesù aveva inviato i discepoli due a due; gli inviati, cioè, non sono schegge impazzite, eroi solitari in viaggio per il mondo. No! Sono uomini costitutivamente bisognosi dell’altro; sono uomini che dichiarano di essere poveri senza l’altro. In più Sant’Agostino, con grande intuizione spirituale, spiegherà che sono inviati due a due perché «due è il numero minimo dell’amore». Il Regno non può che essere annunziato da chi mostra l’amore!
Ancora, in questa pagina di Luca, Gesù dichiara che annunziare l’Evangelo richiede il coraggio dell’inadeguatezza: non può andare ad annunziare un Regno che è tanto altro chi è come il mondo. Non si possono usare i mezzi del mondo per salvare il mondo! Chi volesse annunziare il Regno usando mezzi potenti con questa stessa prassi smentirebbe il Regno; chi facesse così mostrerebbe di credere più ai mezzi che al Regno veniente. Una riflessione questa che mi pare oggi davvero urgente dinanzi a certe spinte che oggi, nella Chiesa, vengono date a un’evangelizzazione manageriale!
La prima sproporzione anti-mondana che Gesù mette subito avanti è il dover andare nel mondo da agnelli e non da lupi! In un mondo di lupi, in un mondo che crede alla potenza e all’efficacia della forza, il discepolo di Gesù è inviato in debolezza, come agnello perché discepolo dell’Agnello. Il discepolo di Gesù è chiamato a credere ad un amore disarmato per annunziare un amore disarmato fino alla croce! Il discepolo di Gesù annunzia il Regno annunziando la pace e non può essere allora lupo avido e violento, non può usare i mezzi dei lupi per gettarsi nell’agone del mondo; la tentazione di usare i mezzi mondani per essere accetti al mondo, anche per buoni fini, non può essere la via del discepolo di Gesù. Purtroppo tante volte noi cristiani abbiamo fatto invece proprio così: per il fine buono dell’Evangelo abbiamo osato vestire pelli da lupo e usare le strategie dei lupi … abbiamo pensato che all’Evangelo facesse gioco il potere, il prestigio, perfino l’arroganza, il danaro, gli imperi e gli imperi economici. No, dice Gesù, bisogna andare da agnelli senza borsa (non è il danaro il canale per l’Evangelo!), né bisaccia (l’accumulo che crea sicurezze non è via per Regno!), né sandali (chi è scalzo non può camminare con arroganza, ma deve essere umilmente cauto!); bisogna andare, inoltre, senza perdere tempo in saluti che fermano la corsa urgente e pressante della Parola.
Il discepolo di Gesù porta l’essenziale della Parola e si fida dell’essenziale, non è appesantito da cose che potrebbero rallentare la corsa della Parola; ha uno stile di verità franca e fraterna: siede a mensa con gli uomini e porta lo stile della pace ad un mondo continuamente tentato di guerra, porta la guarigione ad un mondo malato, annunzia il regno che è vicino perché il Signore, in Gesù, si offre a tutti gli uomini … basta accoglierlo!
Quella polvere scossa dai sandali è un segno che vuole richiamare la responsabilità di chi rifiuta una parola di vita … la polvere è segno di morte, di immobilità … in più l’evangelizzatore dichiara, con questo gesto, una presa di distanza da chi ha scelto di rifiutare una via di vita e di umanità, una via di pace. E’ certo un gesto forte ma che vuole sottolineare che è giunto il momento di non essere neutrali dinanzi a questo Regno che viene.
I discepoli, tornando da Gesù dopo la missione, ci dice Luca, sono pieni di gioia; sono felici di aver visto come i demoni erano sottomessi dinanzi alla potenza della Parola del Regno e Gesù non spegne la loro gioia, ma la indirizza verso una meta più alta: «Rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli». Bisogna, cioè, che si rallegrino perché, come discepoli del Regno e annunziatori del Regno, essi fanno parte di un progetto di salvezza grande che è scritto nel cuore stesso di Dio. Fanno parte di un mondo nuovo che può cambiare la faccia dell’umanità … Ecco il vero motivo di gioia!
Il discepolo va così per le strade del mondo! Diversamente la Parola del Regno non giunge ai cuori.