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Settimana biblica, Don Emilio Salvatore “Non ha senso celebrare se non condividendo con il fratello”

La stretta correlazione tra i concetti di “celebrazione” e di “Sinodalità” è stata al centro della catechesi svolta ieri sera dal Preside della PFTIM sul piazzale del Santuario francescano di Monte Muto

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Come nel primo appuntamento, la Settimana biblica interdiocesana segna una nuova tappa in un luogo di fede francescano, l’ultima nell’area alifano-caiatina: il Santuario di Santa Maria Occorrevole in Piedimonte Matese.

Sul piazzale antistante la Chiesa conventuale, sotto lo sguardo della quattrocentesca Virgo orans, Mons. Giacomo Cirulli ed i  partecipanti hanno seguito la catechesi dettata da Don Emilio Salvatore, Preside della Pontifica Facoltà teologica dell’Italia meridionale incentrata sul tema Celebrare per camminare insieme (Dt 26, 1-11).

“Il Sinodo è una celebrazione – ha affermato Don Emilio, in apertura del suo intervento – infatti noi diciamo celebrare il Sinodo perché nel raduno e nel dialogo illuminato dallo Spirito Santo si realizza un evento che riconosce il dono di Dio nella Comunità radunata per rendere grazie al Signore, assumendo l’oggi, ripensando ieri e rendendo viva l’azione del Signore per il futuro. E allora vivere la sinodalità significa l’importanza del celebrare, per ritrovare le ragioni del convenire e del camminare insieme. Si cammina perché motivati da quanto si celebra e si celebra per ricordare il cammino fatto e lasciare che esso si apra a nuovi percorsi.”

Tratteggiando una visione d’insieme sintetica ed efficace, Don Emilio ha sviscerato il concetto del celebrare suddividendolo in tre punti “Innanzi tutto Celebrare è vivere la gratitudine del presente (…) Si tratta di celebrare i doni, nel dono ricevuto. Significa per noi rivolgersi a Dio per offrirgli il dono del presente, che unisce insieme il creato, il lavoro dell’uomo e la gioia del cammino percorso. A volte non cogliamo la validità e la bellezza del celebrare, che nella dinamica sinodale invece vuol dire soprattutto leggere il nostro oggi come un dono. Negli incontri fatti anche nelle nostre parrocchie, è emersa maggiormente quella tendenza a dire ciò che non va. In una dinamica sinodale invece, celebrare significa riconoscere ciò che abbiamo ricevuto. Se non avessimo ricevuto nulla, noi non saremmo qui stasera. Noi siamo qui dopo aver fatto un cammino, per riflettere sul percorso compiuto e per imparare a rendere grazie al Signore.”

Tuttavia, non c’è celebrazione che ignori un prima, un percorso dal quale si proviene, perché in fondo “Celebrare è fare memoria del passatoe qui Don Emilio, passando in rassegna i momenti salienti della storia del popolo eletto ha sottolineato come “Il punto di partenza è l’origine umile, che vede Israele cosciente di quanto la sua storia non poggi su requisiti di alto lignaggio, ma sull’azione di Dio (…) il punto di svolta è l’Esodo, la liberazione del popolo, mentre il momento finale è la nascita del popolo, quale grande e potente nazione. Il passato e il presente sono sempre collegati (…) Il cammino compiuto da Israele non porta alla libertà tout court, ma porta alla comunione, al servizio di Dio che nella Storia di Israele ha due qualifiche, una liturgica e un’altra legata alla testimonianza della vita, alla testimonianza della legge del Signore. Nel ricordare narrando, colui che celebra rivive il passato come un eterno presente e vede il futuro nella prospettiva di una presenza costante che non lo abbandona. Celebrare allora, significa fare memoria della lunga storia che ci ha preceduto, una storia che poi si ricapitola in un gesto, in un racconto in cui si rinnova la nostra identità, come facciamo durante la celebrazione eucaristica. Chi non celebra non ha identità, è uno smemorato, è uno senza storia, è uno che non sa da dove viene e non sa dove va. Questa perdita della memoria, che caratterizza soprattutto il mondo contemporaneo, è tutt’uno con l’assenza della gioia celebrativa, che ci rende privi di identità, isolati e privi di radici.”

Infine “Celebrare è condividere con tutti (…) ­­– e qui Don Emilio puntalizza – La dimensione della condivisione e la tonalità gioiosa sono due momenti fondamentali della celebrazione: non possono mancare mai, né per Israele né per noi (…) La gioia è l’espressione corporale ed emozionale che meglio esprime il gesto celebrativo, lì si realizza la vera celebrazione del dono ricevuto, ma ciò si deve tradurre nel donare agli altri. Non c’è celebrazione autentica, né cammino autentico che non si traduca in amore verso gli altri. La celebrazione di Dio attraverso la memoria dei suoi doni non può bypassare la memoria del fratello (…) Ogni volta che tu celebri, non puoi ignorare questo cammino né puoi farlo da solo. Ecco la sinodalità, camminare insieme: non ha senso celebrare se non condividendo con il fratello, accogliendo e superando le difficoltà che ci sono con lui (…) Il culto non può essere sganciato dalla vita (…) camminare non è tanto sinonimo di un pellegrinaggio compiuto con i piedi quanto soprattutto di uno stile di vita, camminando nelle vie del Signore.”

Al termine della catechesi, molti partecipanti hanno voluto constatare e rimarcare, attraverso il momento di collatio (confronto e condivisione), che la celebrazione vissuta come gratitudine e nella gioia sia spesso assente durante la celebrazione eucaristica all’interno delle Comunità locali e di quanto ci sia bisogno di recuperare l’aspetto condivisivo all’interno di esse. Anche Mons. Cirulli ha lasciato un contributo, concludendo sulla necessità di una maggiore corresponsabilità specialmente all’interno delle Istituzioni nazionali, alla luce degli avvenimenti accaduti nelle ultime ore.

 

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