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Commento al Vangelo. Non nel possesso, ma nella condivisione: qui è la vita vera

Commento al Vangelo della XVIII domenica del Tempo ordinario - Anno C

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Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

XVIII domenica del Tempo ordinario – Anno C
Qo 1,2;2,21-23; Sal 89; Col 3,1-5. 9-11; Lc 12 13-21

Rembrandt, “La parabola del ricco stolto”, 1627

L’Evangelo di questa domenica è davvero provocatorio, ma l’Evangelo è sempre provocatorio e guai a chi si munisce di armature contro le sue provocazioni! È provocatorio perché tocca un tema che da sempre ha suscitato nei cristiani grandi problemi, discussioni, divisioni, tentativi di accomodamenti: il possesso dei beni. Il tutto inizia con la domanda di un tale, una domanda emblematica: è la domanda di un fratello in lite con un altro fratello circa un’eredità; vogliono una divisione di ciò che il padre aveva lasciato loro. Gesù rifiuta nettamente di entrare nella diatriba: Lui non è un divisore! Il divisore è qualcun altro; al contrario Gesù è venuto a rendere fratelli i fratelli, ad insegnare l’amore e quindi a condividere non a dividere. La domanda di questo tale dà agio a Gesù di affrontare quell’ostacolo mortifero sulla via della vita, della libertà e della fraternità che è il possedere.

Ecco che la risposta di Gesù è un invito ad entrare in una stoltezza che contraddica il mondo: «Guardatevi dalla pleonexìa!», (così in greco) che significa: «Guardatevi dall’aver di più», ma anche dalla “cupidigia”. Insomma, ciò che il mondo percepisce come giusto (la divisione dei beni) per Gesù è semplicemente avarizia, avidità arrogante. Il problema è sempre lo stesso, la scelta da fare è tra un bieco realismo mondano che calcola, accumula, conserva, si assicura un ipotetico domani al riparo da rischi ed un sano realismo evangelico che ha presente l’oltre. Gesù mette in guardia dal primo atteggiamento ed il ricco di cui narra riceve dalle sue labbra un epiteto icastico: «Stolto!» (in greco àphron cioè “senza phrónis”, “senza intelligenza, senza saggezza”). Sì, il ricco della parabola è stolto perché fa dipendere la sua vita dai beni, si compiace dei suoi beni («Hai molti beni», dice il ricco parlando alla sua stessa vita!) ed affida loro tutto … crede che i beni gli custodiscano la vita. E non è così! Assolutamente non è così; il mondo lo crede ma è un inganno terribile! Il ricco dice alla sua vita quattro cose che il Signore aveva pur programmato per la sua creatura: «Riposa, mangia, bevi, godi!». Il Signore questo voleva per l’uomo, infatti i beni condivisi dovevano servire per questo ma per ogni uomo, per tutti gli uomini. Il ricco è però stolto perché crede che queste quattro cose le possa avere accumulando! L’accumulo diviene per il ricco addizione spropositata e per gli altri sottrazione senza pietà. Chi accumula crede di garantirsi il futuro e sottrae il presente a tanti altri! Nel sogno di Dio tutti devono poter riposare, mangiare, bere e godere, ma chi accumula ruba agli altri per riempire i suoi granai, anzi ne vuole di sempre più grandi perché la follia del possedere diventa una malattia invasiva dell’anima.

Per Gesù, dunque, il ricco è stolto perché non ha compreso la verità dell’essere uomo, di ogni uomo: è creatura limitata e peribile; il tempo dell’uomo è sensato se è un tempo teso all’amore, alla condivisione. Il tempo del ricco, invece, è tempo segnato dalla stoltezza perché teso all’impossibile: evitare la morte credendo che i beni accumulati assicurino il vivere. Il limite però, dice Gesù, viene a bussare alla sua porta con il volto tremendo della morte e lascia il ricco con una domanda che resta tragicamente senza risposta: «Quanto hai preparato di chi sarà?». Il sapiente Qoèlet per questo motivo enumerava l’accumulo tra le vanità assolute … Nella parabola la morte, la terribile nemica che Gesù stesso sta per affrontare sul Golgotha, ha un ruolo positivo, rivelativo di quella vanità, rivelativo della verità dell’uomo. Come cantiamo nella notte di Pasqua Felix culpa, così potremmo dire paradossalmente leggendo questa parabola, Felix mors! Sì, felice morte perché dà la possibilità di essere ridotti alla propria verità creaturale. La morte qui diviene anche protagonista della parabola perché costringe il ricco a fare ciò che mai avrebbe voluto fare: dare tutto come tutto aveva ricevuto. Il terribile volto della morte qui, dice Gesù, è da contemplarsi per tornare a vivere come creature che non accumulano ma condividono e così gioiscono.

La parabola si conclude con un monito a «chi tesaurizza per sé e non arricchisce davanti a Dio» (alla lettera «verso Dio»). È questa l’alternativa alla stoltezza del ricco: arricchire davanti a Dio. Come si fa? Tutto l’Evangelo ce lo grida: Donando! E allora lo sguardo va sempre e ancora rivolto a Gesù; Lui è la via. Infatti, si arricchisce davanti a Dio divenendo come Lui, come Lui che si fece e si fa ancora oggi (lo sperimenteremo ancora nell’Eucaristia!) dono per tutti e che «Non ritenne una rapina il suo essere Dio, ma spogliò se stesso»! (Fil 2,5). Dura è la parola di questo Evangelo, ma finché la nostra scelta per Cristo non incrocia questo coraggio concreto dinanzi al possesso, l’Evangelo rimane solo e sempre una bella cosa, belle parole e bellissimi propositi: la vita vera è altrove!

 

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