Home Chiesa e Diocesi Papa Francesco: giovani e vecchi, insieme è possibile

Papa Francesco: giovani e vecchi, insieme è possibile

Durante il viaggio di ritorno, al termine della conferenza stampa, il Pontefice chiede la parola per parlare di fede, per riportare l'attenzione sulla missione autentica di "Pietro"

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L’aereo si è sollevato dalla pista; Papa Francesco ha appena concluso il suo 37esimo viaggio apostolico – questa volta in Canada – non senza fatica per le compromesse condizioni fisiche ad un ginocchio (il viaggio programmato agli inizi di luglio nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan è stato annullato per questo motivo). E come di consueto, in volo, si presta alle domande dei giornalisti: lo fa con disponibilità, con interesse; si mette in ascolto talvolta replicando risposte senza mai essere ripetitivo: gli fa piacere chiarire, soddisfare, aiutare il lavoro di altri (ì giornalisti) che sempre ringrazia, anche per aver recentemente pubblicato una interpretazione del suo linguaggio corporeo e di alcune variazioni di programma e scalette: possibile preludio di un fine pontificato? Ne parla serenamente con loro…

Domande che si susseguono, ma il finale, quello che è dono spontaneo di Francesco, conta. Conta per il credente in ricerca.
Vado alla fine della conferenza stampa, dagli ultimi minuti che rimandano ai contenuti messi lì dal Santo Padre che agenzie e tg non hanno lanciato e che probabilmente hanno cestinato da subito perché meglio lanciare il titolone “Francesco lascia o non lascia?” oppure “cosa pensa della situazione politica italiana?”. Legittime domande e le motivazioni di fondo, intense le risposte di Francesco perché in lui, che è Pietro c’è una responsabilità in più: testimoniare che il Vangelo è libertà che diventa incontro, confronto, relazione, rispetto, disponibilità a dialogare…a chiedere scusa. Non si sottrae, conferma che in Canada, a danno delle popolazioni locali, «è stato genocidio»; ribadisce che interrompere il Pontificato per motivi di salute non è ipotesi da escludere «sarà il Signore a dirlo. La porta è aperta, questo è vero»; esprime perplessità per i numerosi Governi (troppi) che ha avuto l’Italia e apprezzamento per le qualità del capo del Governo Mario Draghi, ormai uscente e chiede alle forze politiche in vista del prossimo voto «Responsabilità. Responsabilità civica» (clicca per il testo integrale della conferenza stampa).

Ma in lui freme il cuore di chi è alla guida di un popolo che nel Pontefice vede sì il ponte verso il domani della Chiesa, la guida nel cammino accidentato, la parola autorevole, l’insegnamento che orienta, la testimonianza.
Lui è Pietro, sulle sue spalle curvate dall’età si regge il peso della Chiesa di ogni latitudine; sulle sua spalle curve in preghiera, poggia il passato e il presente delle piccole e grandi comunità di cattolici, quelli delle parrocchie, delle Associazioni, dei volontari, dei luoghi di preghiera e di formazione, quelli preposti alla cura dei corpi e delle anime… Lui è Pietro e sente la chiamata ad essere pescatore, senza sosta, e allora lancia la sua povera e tenera proposta che supera lo schema sociale e politico delle domande in corso.

Sommessamente, terminati gli interventi dei giornalisti, riporta l’attenzione di tutti al centro della sua missione. «Prima di congedarmi, vorrei parlare di una cosa che per me è molto importante. Il viaggio qui in Canada era molto legato alla figura di Sant’Anna».
Quanto pesa sulle colonne di un giornale laico “Sant’Anna”? Quanti click garantirebbe? Ma lui è Pietro, e di questo ci parla.
Così nelle ultime battute ai giornalisti (chiedendo indirettamente loro di farsene portavoce) ha voluto ricordare il valore della fede trasmessa attraverso il dialetto, attraverso la lingua con cui meglio ci si intende in famiglia, perché nel dialetto è la saggezza antica, è la fede incondizionata e non formalizzata dal mondo e dagli stereotipi plasmati da mode e tendenze. È fede-baluardo che a cui si ancorano le storie di popoli e nazioni: ciò che ai nativi d’America è stato sottratto e negato nella forzata bruciatura di radici…quelle che in fondo rinnovano il fusto e le foglie nel tempo, nei secoli che passano ma tengono salda la pianta.

Non è la prima volta che ci invita alla fede del dialetto, Francesco: «la fede va trasmessa “in dialetto”, e il dialetto – l’ho detto chiaramente – materno, il dialetto delle nonne. Noi abbiamo ricevuto la fede in quella forma dialettale femminile, e questo è molto importante: il ruolo della donna nella trasmissione della fede e nello sviluppo della fede. È la mamma o la nonna a insegnare a pregare, è la mamma o la nonna a spiegare le prime cose che il bambino non capisce della fede. E io oso dire che questa trasmissione “dialettale” della fede è femminile. Qualcuno può dirmi: ma teologicamente come lo spiega? Perché, dirò, quella che trasmette la fede è la Chiesa e la Chiesa è donna, la Chiesa è sposa… (…)».
In circa 15 righe di discorso rilancia ancora una volta l’importanza di quel legame tra giovani e anziani che completa la missione umana dei primi e edifica le prospettive dei secondi.

Seduto in carrozzina, i tratti del suo volto sono segnati da linee profonde di gote che si rilassano; espressione dolce di ogni anziano: sta incarnando in tempo reale le parole che pronuncia senza temere di guardare al futuro, quello terreno e quello celeste (ha appena parlato dei prossimi viaggi, ma ha anche detto che tutti aspettiamo la morte). Resta un uomo in cammino, alla guida.

Conclude sorridendo e ringraziando “Grazie, grazie della pazienza. Grazie dell’ascolto, riposatevi e buon viaggio. Grazie!” e il mio pensiero va a mia nonna e a ciò che avrebbe augurato ad uno come lui, rigorosamente pronunciando in dialetto: “I passi tuoi devono fiorire come il bastone di San Giuseppe”.
Perché io la vita di San Giuseppe (con gli annessi aneddoti fuori dai Vangeli) l’ho conosciuta sì grazie a mia nonna.

 

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