La banca dati di Clarus in occasione della festa di San Sisto I papa e martire, patrono di Alife e della Diocesi di Alife-Caiazzo, si conferma miniera di informazioni di carattere storico e religioso legate alla figura del Santo e alla storia della città che ne accolse le reliquie nel 1131 (’32). Anche quest’anno, doveroso il focus sulla porta di bronzo della Cappella fuori le mura. Siamo in un luogo appena fuori la cinta muraria di Alife, dove la chiesetta, circondata da poche case, orientata ad est, si presenta frontalmente rispetto alla strada di accesso, avvolta nel silenzio tutto il giorno: il primo incontro per chi vi accede è con la sua semplicità (struttura ottocentesca in stile neoclassico), che traduce la fede semplice e autentica, quella che segnò l’originario legame tra San Sisto e gli alifani quando le reliquie trasportate dal Conte Rainulfo III Drengot, secondo la tradizione, sostarono dapprima in questo spazio di campagna, alle porte del paese.
Una volta giunti sul posto, il primo incontro è proprio con quella porta (in questi giorni di festa penalizzata da un drappeggio decorativo) premessa necessaria al visitatore-pellegrino per meglio comprendere la storia e la devozione locali, prima che faccia ingresso in chiesa, spazio semplice ad una navata con pochi elementi artistici di rilievo ma ben fatti e custoditi: il pavimento ottocentesco in cotto con greche di maiolica cerretese, il pregevole altare in marmo sormontato dall’affresco San Sisto in gloria opera di G. Mugnai.
La porta di “San Sisto fuori le Mura”
di Grazia Biasi (2016). Il progetto risale al 1990 quando l’allora parroco don Pasquale Bisceglia e il sacerdote don Enrico Piccioni ne discutono con l’artista alifano Giancarlo Offreda, allievo del noto Augusto Perez all’Accademia delle Belle Arti a Napoli. Solo nel 1992 il compimento definitivo dell’opera costato 6 mesi di lavoro ininterrotto per Offreda: dalle bozze, alle sculture in creta, per poi passare a seguire personalmente il lavoro presso la nota fonderia Marinelli di Agnone, e la progettazione del telaio in acciaio e ottone affidata alla bottega del fabbro locale Lucio Rapa.
Otto pannelli raffiguranti la storia di San Sisto e del suo legame con Alife a partire dall’epidemia di peste che colpì la città costringendo il conte Rainulfo Drengot a chiedere il corpo di una “gran santo” al papa Anacleto, direttamente a Roma.
Un tratto umile, pacato, “facile da leggere”, spiega l’artista Offreda, il quale scostandosi momentaneamente dal suo tratto artistico essenziale e veloce, fatto di segni poco dettagliati, sceglie di raccontare una storia di fede e di devozione “per permettere agli alifani di ritrovarsi, senza difficoltà di interpretazioni, nelle scene narrate”.
Non sono banali, ma reali; non sono scontate, ma sempre a rivelare un dettaglio nuovo, fino ad ora sfuggito; non sono scene anonime ma perfettamente riconducibili alla città di Alife grazie ai riferimenti geografici e urbanistici che compaiono in tutte e otto le forme: “Sono la storia della nostra gente, e del nostro Patrono; sono memoria di un triste momento di dolore e di gioia successiva. Facendomi interprete di questo sentimento comune ne sono venute fuori immagini di fronte alla quali è facile raccogliersi in preghiera”; di fatto è discreta e pacata la mano dell’artista, non invade la scena ma si fa invadere, si fa penetrare dallo sguardo alla ricerca di quel particolare che mai manca, come l’espressione dei volti, la ricerca storica dei costumi (si noti la differenza tra le scene storiche del 1100 e quelle del 1700 ai tempi della ricognizione del corpo del Santo), di un movimento che suscita ancora oggi dolore, timore, attesa, speranza, festa.
L’indagine di Giancarlo Offreda, nella fase di studio storico locale va oltre i confini della città, fin nei costumi e nella tradizione normanna che al tempo di Rainulfo coinvolge politicamente queste terre e l’intero Mezzogiorno, con particolare attenzione all’arte racchiusa nel prezioso scrigno che è il duomo di Monreale.
Oggi Offreda, che insegna educazione artistica, guarda con una rinnovata maturità artistica quell’opera “che sempre emoziona come fosse la prima volta a vederla”, e la definisce ancora perfettibile, ancora da migliorare per meglio raccontare “il legame di fede che ci unisce a San Sisto”. Ma questo, lo scriviamo sottovoce, perché non appartiene altro che all’incontentabilità di ogni artista.