Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)
XXI domenica del Tempo ordinario – Anno C
Is 66, 18-21; Sal 116; Eb 12, 5-7. 11-13; Lc 13, 22-30
«Sono pochi quelli che si salvano?».
È la domanda che, nell’Evangelo di oggi, viene posta a Gesù; è in viaggio verso Gerusalemme, vi sta andando con decisione ferma, con la faccia dura, ha scritto Luca (cf. 9, 51), vi sta andando come il Samaritano a cercare chi si fa trovare con le sue ferite, i suoi abbandoni, le sue morti incombenti (cf. Lc 10,30-37). Il suo non è un viaggio trionfale per fare proseliti che lo seguano e lo acclamino; è un viaggio in cui umilmente, ma con franca fermezza, cerca le ferite di chi è disposto a scoprirle davanti a Lui, cerca cuori pronti a tendere a Dio una mano per la salvezza. La domanda è allora cruciale: è la domanda di tutti i tempi, di tutte le religioni, in fondo di tutte le filosofie…è la domanda sulla salvezza. Giustamente il verbo della salvezza è al passivo; la versione in italiano è ambigua: «sono pochi quelli che si salvano?». Quel “si salvano” insinua che forse ci si può salvare da soli per cui la versione più esatta è: «Sono pochi quelli che sono salvati?». Non è un cavillo. Il problema è tutto qui: lasciarsi salvare. Per questo Gesù parla di una porta stretta.
È una porta “strana”: dalla parte di Dio è larga perché larga è la misericordia, dalla parte nostra è stretta perché stretta è la via del riconoscimento della propria creaturalità, del proprio bisogno, del proprio peccato. Per passare per questa strettoia delle nostre miserie bisogna “lottare” (in greco Luca usa proprio il verbo che servirà a dire la lotta estrema: agonìzesthe = «Lottate per passare per la porta stretta») e il nostro vivere nella storia da discepoli di Cristo sarà sempre nello spazio di questa lotta. Chi compie davvero questa lotta è solo chi non si sente al sicuro; chi si sente al sicuro, dice il Signore, potrà fare un’amara scoperta: credeva di essere dentro ed invece era fuori. Credeva di non dover lottare, ha preso la porta larga delle proprie presunzioni, della propria pretesa di giustizia e non si è trovato nel Regno, ma lì «dove è pianto e stridore di denti», cioè dove è dolore e rabbia.
E’ importante riflettere che questa condizione non è solo una condizione escatologica, non riguarda solo l’al di là; la verità è che è già nel Regno chi lotta ed è fuori dal Regno, in un dolore sordo e disperato ed incendiato dalla rabbia, chi si fa prigioniero delle proprie sicurezze, chi crede di avere in mano il proprio “destino”, chi si scontra con il mondo e nel mondo non per cambiare il mondo, ma per prevalere sugli altri, chi vuole salvarsi da sé come il ricco stolto (cf. Lc 12,13-20) o usando arroganza e violenza come il servo dimentico del padrone che tarda a venire (cf. Lc 12,42-46).
Chi passa per queste porte larghe è già all’inferno, qui nella storia. È nell’inferno della solitudine (i ricchi sono soli, anche se tanti si accalcano attorno a loro per sfruttarli), sono nell’inferno dell’arroganza violenta (gli altri sono sempre i nemici).
Nel capitolo precedente Gesù aveva chiamato i suoi «piccolo gregge» e oggi in questo Evangelo scopriamo quanto piccolo sia questo gregge; scopriamo infatti che alcuni che credevano di farne parte in realtà non ci sono; scopriamo anche però quanto questo piccolo gregge sia composito. Scopriamo dalle parole di Gesù (ma poi dovremmo avere occhi e cuore capaci di scoprirlo anche nella vita ecclesiale!) che quelli che lottano per passare per quella porta stretta sono delle più varie provenienze e che tra loro ci sono alcuni (tanti!) che nessun pio benpensante avrebbe pensato che ci fosse…Già il passo del Libro di Isaia che abbiamo ascoltato vedeva questa moltitudine proveniente da fuori che si scopre essere di dentro. È certo: i lottatori coraggiosi, capaci di dimenticarsi e di fidarsi di altre mani, verranno anche dai lontani e tanti vicini, convinti di non dover lottare, rimangono fuori; oggi come nell’eterno.
A Luca, francamente, interessa più l’oggi (il suo Evangelo, d’altro canto, potremmo chiamarlo l’Evangelo dell’oggi di salvezza) perché è lì, in ogni oggi, che brucia un’urgenza, l’urgenza di decidersi per Dio, di volgere le spalle a se stesso ed alle proprie presunzioni. La decisione è una porta stretta perché è decidersi a farsi ultimo; e non è questione di pia e religiosa umiltà, è questione di sapere di chi si è discepoli: di Colui che davvero si è fatto ultimo, fino alla morte ed alla morte di uno schiavo (cf. Fil 2,7-8). Ecco che è vero che gli ultimi saranno i primi e non perché così hanno un premio per la loro umiltà, ma “semplicemente” perché chi si fa ultimo è vicino a Gesù che si è fatto ultimo e chi si riconosce l’ultimo ed “il” peccatore (cf. Lc 18,13) entra per la porta stretta della conversione che è sempre un volgere le spalle a sé per volgersi a Dio, che è sempre un fidarsi più di Dio che di se stesso. Ed è una lotta. È una dura lotta.
La vogliamo ingaggiare?