Noemi Riccitelli – Non è la prima volta che una produzione televisiva decida di attingere a casi di cronaca, specie se quest’ultimi sono stati particolarmente eclatanti.
Inoltre, l’interesse si fa più vivo se i fatti prevedono il coinvolgimento di comunità religiose, soprattutto di quelle meno note o caratterizzate da un codice etico peculiare.
È il caso di In nome del cielo (Under the banner of heaven), la nuova serie Disney Plus disponibile sulla stessa piattaforma dal 31 agosto: thriller-poliziesco di 7 episodi della durata di circa un’ora.
Si tratta dell’adattamento dell’omonimo libro best-seller di John Krakauer (noto autore del romanzo Into the wild, da cui è stato tratto il celebre film diretto da Sean Penn incentrato sulla storia vera di Alexander McCandless), edito nel 2003, che racconta dell’escalation di violenza di Ron e Dan Lafferty, appartenenti alla comunità della Chiesa di Gesù dei Santi degli Ultimi Giorni (conosciuti anche come Mormoni), culminata nell’omicidio di Brenda Lafferty e sua figlia Erica, rispettivamente cognata e nipote dei due assassini.
La tragedia avvenne nel 1984 in Utah, dopo che i due fratelli furono scomunicati dalla comunità religiosa a causa dei loro atteggiamenti e tendenze estremiste, non più in linea con il credo mormone.
Il creatore della serie è Dustin Lance Black (sceneggiatore premio Oscar) e tra i produttori esecutivi c’è anche il regista Ron Howard.
Utah, anni ’80. Il detective Jeb Pyre (Andrew Garfield) e il suo collega Bill Taba (Gil Birmingham) indagano sull’efferato omicidio di Brenda Lafferty (Daisy Edgar Jones) e sua figlia Erica.
Le accuse ricadono sul marito di Brenda, Allen Lafferty (Billy Howle), il quale si dichiara innocente, collaborando alle indagini e conducendo ben presto gli agenti sulla pista giusta: Dan (Wyatt Russell) e Ron (Sam Worthington), fratelli maggiori di Allen, hanno abbracciato una deriva estremista del loro credo, coinvolgendo in un turbine di tragici eventi tutta la loro famiglia.
Il caso scuote la comunità mormone e lo stesso detective Pyre, nel corso delle indagini, affronta una personale crisi di coscienza, legata proprio all’educazione religiosa che ha ricevuto, mettendo in discussione l’etica che sempre seguito e rispettato.
Quante malvagità si sono compiute “in nome del cielo”? Quante volte il nome di Dio è stato capro espiatorio di atti indegni e cruenti?
La storia di ogni credo religioso cela momenti oscuri, in cui la volontà umana si è sostituita subdolamente alla più pura ispirazione divina, macchiando spesso indegnamente la credibilità di un’intera comunità: In nome del cielo racconta proprio di uno di questi momenti, ma al di là del caso di cronaca in sé, la serie propone soprattutto un caso di coscienza, un confronto tutto intimo tra la propria vera interiorità spirituale e l’etica che un credo propugna, se e quanto quest’ultimo sia vissuto passivamente o in piena consapevolezza.
Il protagonista principale, Andrew Garfield, reduce da un anno di successi (da Spider Man-No Way Home fino alla candidatura all’Oscar per Tick tick BOOM), è chiamato ad interpretare proprio questo dissidio interiore e lo fa confermando la sua bravura e un’ormai raggiunta maturità artistica: non a caso, l’attore è tra i nominati come Miglior attore protagonista per questa serie agli Emmy Awards, che si terranno il prossimo 12 settembre.
Accanto a lui, si distingue anche Gill Birmingham, che al contrario recita il ruolo del disincantato detective Taba: la coppia mostra un feeling sincero che funziona, donando alle serie i momenti più teneri e divertenti, alleggerendo di tanto in tanto la tensione della narrazione.
Di contro, l’altra coppia antitetica che riesce a tenere viva l’attenzione e la suspense è quella di Wyatt Russell e Sam Worthington, rispettivamente Dan e Ron Lafferty: i due attori impersonano in modo eccellente la climax eversiva e folle dei due fratelli, con interpretazioni degne di nota.
Daisy Edgar Jones, giovane attrice britannica consacrata dal suo ruolo da protagonista nella serie Normal People, si distingue nel ruolo di Brenda e conferisce un tocco spigliato e sicuro al suo personaggio, rendendo giustizia alla sua memoria e non associando il suo nome solo al tragico destino spettatole.
Il focus sulla comunità mormone è realizzato con dettaglio e cura, usi e costumi sono rappresentati con dovizia di particolari, permettendo al pubblico di addentrarsi al meglio nella prospettiva: del resto, il creatore della serie, Dustin Lance Black, è nato e cresciuto in un ambiente di credo mormone e in relazione a ciò, la sceneggiatura è molto attenta nel distinguere e delimitare l’oscura cronaca di questo avvenimento ad opera di due assassini con il ritratto di un’intera comunità religiosa.
La serie, come il genere thriller vuole, tiene un ritmo incalzante, anche se a volte i molteplici piani temporali e i flashback tendono a rallentare la narrazione, ma nel complesso l’attenzione e la curiosità dello spettatore rimane alta fino all’ultimo episodio.
In nome del cielo è una serie intensa, drammatica senza dubbio, ma con il pregio di non proporre semplice intrattenimento che rasenta lo sciacallaggio, ma al contrario, stimolando nel pubblico una sincera riflessione critica sul personale rapporto e coinvolgimento religioso di ognuno e come quest’ultimo influenzi e incida sulla propria vita quotidiana.