Giovanna Pasqualin Traversa – Oggi riaprono i battenti gli istituti di 7 Regioni, dopo l’avvio anticipato, come ogni anno, nella Provincia autonoma di Bolzano (5 settembre). Entro il 19 tutti gli alunni torneranno in classe. Con alcune novità: cessati gli effetti della normativa speciale legata al Covid-19, il ministero dell’Istruzione ha escluso l’attivazione della Dad. Le mascherine in classe saranno obbligatorie solo per alunni e docenti fragili; si potrà riavere il compagno di banco, senza più l’obbligo del distanziamento. Come è ormai tradizione, Eraldo Affinati, scrittore e insegnante romano, fondatore con la moglie Anna Luce Lenzi della scuola Penny Wirton per l’insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati, anche quest’anno rivolge un pensiero e un augurio a ragazzi e insegnanti.
Professore, dopo due anni, pur mantenendo un comportamento prudente si torna finalmente alla scuola in presenza. Quanto è importante questo clima di maggiore serenità e “normalità”?
Si tratta di un ripristino fondamentale delle consuete funzioni didattiche nella speranza che non ci siano recrudescenze del virus. La scuola rappresenta da sempre il luogo sociale per eccellenza dove si formano le coscienze e si progetta il futuro. Ogni problema presente altrove, in un modo o nell’altro, entra nella psiche degli studenti che a volte riescono a mascherare le loro crisi, altre volte le proiettano all’esterno anche per liberarsene. In questo senso tornare in presenza è davvero importante perché finalmente ci riporta alla vita di classe: luogo di formazione essenziale, perfino nelle sue inevitabili tensioni, per i bambini e gli adolescenti che imparano a convivere insieme a coetanei di provenienza diversa.
La maggior parte degli alunni attende con un misto di gioia e trepidazione il rientro in classe. Tuttavia ci sono in tutti noi, ed in particolare nei ragazzi, delle ferite da risanare: quelle causate dalla pandemia e quelle che stanno segnando la nostra quotidianità come la guerra in Ucraina, alle quali non possiamo rimanere indifferenti. Come intervenire? Quale può essere il ruolo della scuola al riguardo?
Come sempre i docenti, attraverso l’insegnamento delle singole discipline, sono chiamati a favorire la distinzione, da parte dei loro allievi, fra ciò che è importante e necessario e ciò che non lo è. Costruire le personalità dei più giovani, nel nuovo stimolante ma rischioso orizzonte informatico, resta un’impresa affascinante, in quanto si ha l’impressione di poter modificare l’orientamento della grande macchina umana: lo sguardo nuovo e fresco di Alex, le domande talvolta impetuose di Francesca, persino la noia e la ribalderia di Romoletto, sono pepite d’oro che sarebbe imperdonabile non raccogliere. Occasioni preziose da mettere a frutto. Ma proprio per questa ragione oggi i professori, troppo spesso lasciati da soli di fronte alla classe, hanno una responsabilità maggiore rispetto al passato.
Qual è il suo augurio ai ragazzi? Come far capire loro quanto sia importante l’impegno (e il sacrificio), non solo a scuola ma anche nella costruzione della loro vita?
L’energia dei ragazzi è sempre straripante e coinvolgente: bisogna soltanto incanalarla per non disperderla o, peggio ancora, vanificarla. Sarebbe bello se ognuno di loro cercasse e magari scoprisse nel prossimo anno scolastico una passione da coltivare, un sogno da realizzare, un’avventura conoscitiva da vivere. In tutte le persone esiste una corda segreta da raggiungere e far suonare: se hai la fortuna di trovarla da piccolo non sentirai più la fatica e la noia del compito da svolgere perché ti piacerà fare ciò che hai scelto.
Alla vigilia della prima campanella, che cosa suggerirebbe agli insegnanti per arrivare al cuore dei loro alunni? Per insegnare loro ad essere interiormente liberi e appassionati di vita, cultura, bellezza?
Gli insegnanti che vogliono entrare in sintonia con i loro scolari devono verificare sempre le motivazioni profonde per cui hanno deciso di fare questo mestiere. Che non è, né sarà mai, uguale a qualsiasi altro: poter incidere in modo indelebile nella percezione di un giovane significa scoprire gli ingranaggi della civiltà, perché ogni adolescente ricomincia da capo nell’opera di consapevolezza culturale e spirituale. Siamo noi adulti che dobbiamo guidare e sorvegliare questo passaggio al tempo stesso delicato e complesso. Per farlo è necessario, da parte nostra, avere in testa i valori di riferimento in base ai quali indirizzare la nostra azione educativa, in mancanza dei quali saremmo dei semplici professionisti, meri esecutori di programmi e funzionari del giudizio. E poi bisogna anche accettare le sconfitte a cui andremo inevitabilmente incontro perché i ragazzi a volte ci esalteranno, altre volte ci inchioderanno al muro.
Che cosa si augura in questo nuovo anno scolastico? Che la scuola “bruci” o che “accenda”, prendendo in prestito il tema del convegno promosso il 10 settembre dall’associazione “Articolo 26”?
Una scuola che accende, secondo me, dovrebbe anche essere in grado di bruciare. Cosa? I rami secchi, le false rassicurazioni, i narcisismi fine a se stessi, certi nuovi idoli informatici, tutto quello che allontana i giovani dalla verifica delle fonti, dall’esperienza concreta della realtà, dall’approfondimento, dalla concentrazione, dal rigore e dalla fantasia. Una scuola che abbia il coraggio di essere minoritaria rispetto all’andazzo generale e possa rappresentare il luogo etico di riferimento essenziale, come è già stata, seppure per causa di forza maggiore, durante la pandemia.
Fonte SIR