Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)
XXV Domenica del Tempo ordinario – anno C
Am 8,4-7; Sal 112; 1Tm 2,1-8; Lc 16,1-13
I testi della Scrittura di questa domenica ci conducono ad una riflessione davvero essenziale per poter, non dico essere uomini del Regno, ma addirittura poter parlare di Regno di Dio. È così: non si può neanche parlare di Regno di Dio se non si affronta il tema della giustizia, del retto uso dei beni. Il vero discepolato si misura anche qui: dal passare dalle parole, dai bei propositi e dai grandi proclami alla compromissione dei propri beni, di quello che si possiede.
Le parole del Profeta Amos nella prima lettura sono davvero di graffiante potenza; Amos ha qui un testo che dovrebbe far tremare quelli che, pur dicendosi cristiani, accumulano ricchezze e le usano perché si auto moltiplichino a scapito dei poveri e perché quelle stesse ricchezze si trasformino in armi di oppressione e di vera e propria violenza! L’ingiustizia genera violenza ed odio, l’abbondanza di pochi e la miseria di tanti è la grande vergogna dell’umanità e la Chiesa di Cristo dovrebbe sempre sapere da che parte schierarsi, per chi lottare, con chi piangere e gridare!
Luca in questa parte del suo Evangelo vuole affrontare il tema dell’uso cristiano dei beni; un tema che toccava molto quella sua comunità (lo si coglie dal fatto che spessissimo nel suo evangelo affronta questo tema dei beni, della loro condivisione), come tocca le nostre comunità. Luca racconta la parabola dell’Amministratore disonesto, una parabola che bisogna saper leggere bene per capire dove Gesù vuole andare a parare con questa strana vicenda … è una parabola in cui viene posto come esempio un personaggio moralmente negativo, ambiguo. Mentre nel Buon Samaritano, per esempio, la figura esemplare è un uomo buono, pietoso, colmo di tenerezza, qui è un uomo avido, disonesto, furbo … Eppure, questo uomo viene elogiato proprio da quel padrone che aveva frodato; scrive Luca: «Il padrone lodò quell’amministratore disonesto perché aveva agito con scaltrezza». Lo loda non per la disonestà, è chiaro, ma per la “scaltrezza”. In greco Luca usa l’avverbio phronímos che serve a sottolineare molte cose, paradossalmente positive in lui; è lucido nel cogliere la gravità della situazione, ha enorme prontezza a cercare e trovare una soluzione, prende subito una decisione.
Ecco cosa Gesù vuole porre all’attenzione dei suoi ascoltatori: quest’uomo “delle tenebre” (è detto “amministratore dell’ingiustizia”, oikonómos tēs adikías) è stato capace di giocarsi tutto per uno scopo preciso: quello di mettersi in salvo. Perché, si chiede Gesù, i figli delle tenebre (come questo amministratore) sono capaci di vere capriole di intelligenza, di prontezza, di previdenza, di obbedienza alle vere urgenze e i discepoli del Regno non usano queste stesse doti per costruire nella propria vita quello che davvero conta? Perché gli ingiusti inventano mille mezzi per giungere ai loro scopi ed i discepoli dell’Evangelo sono spesso così tiepidi e senza passione per il Regno, per le sue mete, per l’uomo nuovo che Gesù ci ha mostrato al “caro prezzo” del suo sangue?
Se ci riflettiamo bene, davvero non c’è proporzione … come sempre. Dicevano i Padri: “Se vuoi vedere la perseveranza fedele guarda al vizio e non alla virtù!” Come si è perseveranti e decisi nel male!
Gesù allora qui non elogia la disonestà ma la scaltrezza e vorrebbe che i suoi discepoli usassero una stessa scaltrezza per camminare dietro di Lui, per usare i beni del mondo per renderli forieri non di morte e di ingiustizia ma fecondi di vita. Sì, perché il danaro, in sé è cosa neutra, è cosa che deve solo servire l’uomo; il problema è che esso ha la tremenda tendenza a diventare padrone dell’uomo. È paradossale, ma l’uomo, credendo di dominare gli altri ed il mondo con la ricchezza, in realtà finisce per essere dominato dalla ricchezza. Gesù definisce la ricchezza “ingiusta”, “disonesta” proprio perché fa delle promesse che poi non mantiene … inoltre la ricchezza, l’accumulo è sempre ingiustizia perché chi accumula toglie inevitabilmente agli altri; è infatti impossibile che una ricchezza smisurata non sia stata costruita sul male, sul sopruso, sul sangue del povero; Gesù invita a fare di questa ricchezza, in sé disonesta, ingiusta, ingannatrice, una possibilità di vita e non di morte. Come? Con la condivisione! Quella vera, però, non l’elemosina condiscendente che dà le briciole ai poveri e poi accumula grandi “materassi” di protezione per sé; non quell’elemosina umiliante che dà gli avanzi e poi, magari serve pure a sentirsi buoni!
Per Gesù bisogna cogliere da questo uomo iniquo una lezione: la capacità di fare una scelta per la vita, una scelta accorta … chiaramente questo amministratore ingiusto ed il discepolo appartengono a due logiche diverse, a quella del mondo e a quella del Regno; sono due modi differenti di concepire l’esistenza; quello che però Gesù indica al discepolo è la risolutezza e la capacità di perseguire uno scopo perché vitale!
È chiaro allora che il nodo della situazione è capire se il discepolo ha colto la priorità del Regno nella sua vita; ha colto ciò che davvero conta? È capace di fare una scelta che il mondo non approva né può capire e che mette l’Evangelo al culmine dei propri interessi? Il discepolo ha vera passione bruciante per l’Evangelo? Troppo spesso bisogna vedere uomini di Chiesa freddi e burocrati, ritualistici e senza fuoco, cinici e, a volte, troppo fatalisti … Gesù vuole bruciante passione nei suoi! Incredibilmente questo amministratore disonesto ne dà un’immagine; in più Luca qui coglie l’occasione per introdurre un discorso chiaro sull’uso dei beni che deve essere, appunto, un uso e finalizzato a farsi amici; chi sono questi amici? Amici che accolgono nelle dimore eterne … chi possono essere? I poveri che sono amici di Dio e che abitano la sua casa? O forse questi amici adombrano Dio stesso che accoglie nella sua dimora? Comunque sia, lo sguardo qui si va ad estendere sull’oltre della storia.
L’accanimento verso i beni, verso la ricchezza nasce dall’ inganno di eternizzare l’oggi, la storia presente; infatti, se tutto è qui, il qui va preservato e “assicurato” e questo ci si illude di farlo con l’accumulo…le dimore eterne di cui parla Gesù ci richiamano ad una realtà che spesso l’uomo vuole dimenticare: l’ amministrazione ci verrà tolta, cioè ci verrà tolto quell’oggi che ha bisogno di essere amministrato con discernimento, con accorta attenzione a ciò che è primario, a ciò che veramente conta. La vita è una ed è breve e non va vissuta da ciechi, da stolti, con infiniti e vili rimandi!
I beni ingannevoli, tante volte ingiusti, spessissimo – se troppi – frutto di lacrime e generatori di odio, si possono convertire in occasione di giustizia, addirittura di amore; il fatto è che bisogna convincerci che essi non ci appartengono perché nel momento in cui li vogliamo possedere con avidità essi stessi ci posseggono e ci fanno schiavi, ci rendono ciechi, sordi, ci assorbono tempo, energie, cuore, preoccupazioni e poi, alla fine ingannano perché ci lasciano; restano qui quando noi passiamo, con la morte, oltre la storia … i beni non ci appartengono perché le necessità dei fratelli, dei poveri non possono trovarci con il cuore chiuso; scrive Giovanni nella sua Prima lettera: «Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello nella necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio?» e aggiunge: «non amiamo a parole, né con la lingua ma con i fatti e nella verità» (cf. 1Gv 4,17-18).
Alla fine Gesù pone, come sempre, un aut-aut: non si possono mettere assieme Dio e l’ingiusta ricchezza; non si possono servire due padroni! A chi si dice “Amen”? A Dio o alle ricchezze? Non a caso Gesù ama chiamare le ricchezze con la strana parola “mammona”, parola che deriva dallo stesso verbo ebraico aman (da cui Amen) che significa “mettere fiducia”, “avere sicurezza”. E chiaro allora ciò che Gesù dice: “Di chi ti fidi? A chi ti affidi?” O si dice Amen a Dio ed alle sue vie rischiose e folli per il mondo o si dice Amen al mondo ed alle sue ricchezze! Tra le due cose non ci può essere accordo.
È inutile svicolare e arzigogolare, come tante volte si è fatto per giustificare i ricchi: Amen si dice solo a Dio e non è possibile dirlo in parallelo alle ricchezze! «Nessun accordo tra gli idoli e Dio» (cf.2Cor 6,16).