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Commento al Vangelo. Apocalisse non è “la fine”, perchè «Nessun capello del vostro capo perirà!»

Commento al Vangelo di domenica 13 novembre, XXXIII del Tempo ordinario - Anno C

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Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

XXXIII Domenica del Tempo ordinario – anno C
Mal 3,3-19-20a; Sal 97; 2Ts 3,7-12; Lc 21,5-19

“Sacco di Gerusalemme”, rilievo dell’Arco di Tito a Roma

 

Per meglio comprendere le letture di questa domenica è importante metterle in relazione con la fine dell’anno liturgico di cui inizia la penultima settimana. Domenica prossima celebreremo la festa di Cristo Re. Poi incomincerà il Tempo dell’Avvento che ci deve orientare al secondo Avvento, quando il Cristo «verrà di nuovo nello splendore della gloria, e ci chiamerà a possedere il regno promesso che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa», come ci fa cantare uno dei prefazi del tempo di Avvento.

Quando Luca scrive il suo Evangelo, siamo dopo il 70 d.C., anno in cui Tito, con le sue truppe, dopo un lungo assedio, distrusse il Tempio di Gerusalemme … fu questo un evento colto dome un “segno” e che fece insorgere tante domande sul senso e tante paure … il Tempio, per la fede biblica, era il luogo della presenza fedele di Dio in mezzo al suo popolo, luogo che Adonai abitava, ma non tenendolo prigioniero (chiara, in tal senso, è la parola che troviamo in Dn 3,55: «Benedetto sei tu che penetri con lo sguardo gli abissi e siedi sui cherubini» in cui l’autore genialmente ci dice assieme come il Signore che «siede sui cherubini», cioè sull’Arca nel Tempio sia Colui che è presente in tutto l’universo), luogo di incontro tra il Signore e il suo popolo e perciò luogo di comunione per il popolo. Ora che questo Tempio è distrutto, tutto pare vacillare ed eclissarsi. L’evento ormai avvenuto della distruzione del Tempio dà una forza grande a delle parole di profezia che pure Gesù aveva detto alla fine della sua vita, parole che a partire proprio dal Tempio e dalla sua bellezza, riguardavano proprio il senso della storia, della vita del credente, della vita del mondo.

Gesù era un ebreo del suo tempo, ebreo fino in fondo, impregnato, dunque, della cultura del suo popolo; ora, uno dei “linguaggi” ebraici allora usato per parlare della relazione tra Dio e la storia, era il “linguaggio apocalittico” … in questo testo di Luca Gesù usa proprio questo linguaggio. “Apocalisse” non significa catastrofe definitiva e spettacolare (come si fa oggi abitualmente), “Apocalisse” significa semplicemente “rivelazione”, significa “togliere il velo”, quel velo che ci copre gli occhi e il cuore impedendoci di vedere la verità ultima, l’ultima parola di Dio sul mondo e sulla storia. È un linguaggio colorato, forte, paradossale! Un linguaggio che mai va preso alla lettera e che va decodificato, un linguaggio in cui i disastri descritti sono segno di un capovolgimento e di una novità radicale che sta per compiere la mano misericordiosa di Dio. D’altro canto, anche noi oggi facciamo esperienza ogni giorno della paradossalità delle realtà del nostro mondo, una paradossalità spessissimo inafferrabile e molto al di là della ragione e delle ragioni che possiamo darci. Ci sono, infatti cose terribili che fanno gli uomini e in questi ultimi mesi abbiamo rivisto bombardamenti, trincee, ragazzi morti perché immolati sull’altare sozzo del potere di oligarchi assetati di danaro e di potere, popolazioni disperate e minacciate; ci sono le povertà che schiacciano interi popoli e che generano il dolore lacerante delle migrazioni alle quali noi europei abbiamo dovuto constatare tra noi forti venti di reazioni, di disprezzo, di gretto rifiuto e oggi, in questa direzione, dobbiamo attenderci una recrudescenza di respingimenti dei poveri che bussano alle nostre porte e che tingono con il loro sangue il nostro bel mare che per tanti di noi significa solo vacanza, turismo, relax; ci sono le sofferenze di una crisi economica preparata ad arte che creerà disperazione e povertà; ci sono poi i fenomeni naturali avversi alcuni dei quali generati pure dalle nostre sciagurate politiche ambientali. Tanti, dinanzi a tutto questo, usano un “linguaggio apocalittico” ancor oggi per dire il loro sconcerto e parlano di “fine dei tempi” e lo fanno con parole e cuore cinico e disperato.

Il linguaggio che Gesù usa, invece, vuole esprimere due cose dinanzi alla paradossalità tremenda di ciò che avviene nella storia; la prima è che tutto ciò che è costruito sulla prepotenza, sull’ingiustizia, sull’arroganza, sarà distrutto e, in tal senso, anche Malachia, nel suo oracolo che si legge in questa domenica dice che tutto ciò sarà bruciato come paglia; la seconda è che ci sarà un pieno compimento proveniente da Dio in cui ci sarà davvero l’umanità che Lui ha promesso, ci sarà la pienezza di tutto ciò che gli uomini avranno costruito con amore! Cosa ci chiede questa pagina di evangelo con il suo linguaggio forte e, a tratti, anche violento? Credo che, in primo luogo, ci dissuada dall’inerzia, dall’oziosità, dalla rassegnazione. Ci dissuade dal pensare cinicamente a vivere il presente con un pagano e materialistico carpe diem teso a godere di ciò che si può godere mentre tutto pare crollare… si sappia coscientemente o non si sappia, ma tanti oggi vivono così, da disillusi, da cinici o da fuggiaschi; quanti, infatti, cercano fughe dal reale con lo “sballo”! I giovani lo fanno in un modo ingenuo con sostanze stupefacenti e più spesso con l’alcool (pare che oggi non ci si sappia divertire che così! Che tristezza!) o con lo sballo ubriacandosi di pseudo libertà in cui tutto è lecito e possibile in una folle fluidità che fa smarrire il reale; gli adulti lo fanno “sballandosi” di potere, di vizi, di danaro, di lavoro idolatrato, di egoismi, di corse al successo, di ideologie nazionalistiche, di lotte per preservare privilegi e ricchezze… .

La via che indica Gesù dinanzi alla contraddittorietà della storia è un’altra: ai discepoli che gli chiedono «quando avverrà tutto questo?», Gesù risponde dicendo come vivere nella contraddizione storica e come attendere quel compimento che certo ci sarà: con la testimonianza e la perseveranza. È necessario testimoniare un modo “umano”, pienamente “umano” di essere uomini, è necessario perseverare rimanendo nella fedeltà all’alleanza con Dio e al Nome di Gesù stesso! Questo significa rimanere nella fedeltà alla via di Gesù che è una via debole e, per il mondo, assolutamente non vincente. Una via nella quale il discepolo addirittura vive, non solo l’incomprensione, ma anche la persecuzione.

Gesù invita alla perseveranza, a tenere la mente e il cuore il più possibile aperti alla sua azione che giunge in maniera altrettanto improvvisa, proprio come le situazioni negative! Gesù ci consegna una parola di speranza: Dio si prende cura della nostra vita anche e soprattutto quando è fragile e colma di peccato e contraddizioni. Sperando in questo possiamo essere più forti e stabili del glorioso Tempio di Gerusalemme: «Nessun capello del vostro capo perirà!» … è vero! Gesù l’ha detto!

 

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