Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)
di P. Gianpiero Tavolaro
Prima domenica di Avvento
Is 2,1-5; Sal 121; Rm 13,11-14a; Mt 24,37-44
All’interno della vita della Chiesa – rigorosamente scandita da cicli liturgici che corrispondono ad aspetti e momenti diversi e complementari dell’unico mistero della salvezza –, l’Avvento è il tempo nel quale è chiesto alla comunità credente di imparare, in modo sempre nuovo, a volgere lo sguardo al Veniente. A partire dalla memoria della venuta del Figlio di Dio nella carne dell’uomo, il credente è chiamato a celebrare il Suo quotidiano venire, attendendolo “nella beata speranza”. L’avvento, dunque, non intende preparare alla festa liturgica del Natale, anche se è nel Natale che esso trova la sua ragione d’essere: se Cristo non fosse già venuto, infatti, la speranza dei suoi discepoli sarebbe una speranza “debole”, fondata su una promessa, ma ancora in attesa di un compimento; se, però, si dimenticasse che Cristo è il Veniente, la storia rimarrebbe prigioniera di sé stessa, imbrigliata nella rete dei giorni e agonizzante fino a morire, uccisa da sé stessa.
Nel vangelo, Gesù si sottrae alla domanda sul “quando” del suo ritorno: conoscere il “quando” (conoscere il termine preciso della sua venuta definitiva) significherebbe far perdere consistenza e valore a tutti i giorni precedenti quel punto fissato. Gesù, però, non è venuto nella storia per svuotare la storia, ma per darle la concreta consistenza dell’amore. L’ignoranza del “quando” attiva la vigilanza: solo chi attende vigila, senza farsi appesantire dal sonno, rinunciando a stordirsi con la ricerca smodata di soddisfare le proprie voglie, pronto a fuggire la peste dell’indifferenza, che è la dimenticanza del futuro, della meta verso la quale la storia sta andando e che, a sua volta, attende l’uomo, anche quando l’uomo la ignora. Il futuro – quello di Dio – suscita il desiderio di un “oltre” che già può cominciare qui proprio vigilando, attendendo il ritorno di Lui, del Signore, dell’Amato. Chi veglia nell’attesa sta esprimendo concretamente quanto Lo attenda e lo gusta già, nel desiderio, riempendo il quotidiano di attesa.
Pur non fornendo indicazioni temporali precise, Gesù dice “come” custodire la speranza e “dove” attendere il suo irrompere. La speranza va custodita “vigilando” e va attesa nel “quotidiano”. Gesù propone, così, alcuni esempi che riportano proprio al quotidiano: «Allora due uomini saranno nel campo… Due donne macineranno alla mola…». È lì, nelle occupazioni quotidiane (il “dove”), che si opererà la distinzione tra quelli che “attendono” e quelli che “dormono”: apparentemente i due uomini, come le due donne, fanno la stessa cosa; quello che è determinante, però, non è il “cosa” si fa, ma il “come” si fa. Un “come” che può essere nascosto agli occhi degli uomini, ma che non sfugge a Dio, che è capace di leggere i cuori e di non fermarsi all’apparenza.
L’esempio dei tempi di Noè intende sottolineare proprio il rischio di una incosciente inconsapevolezza e indifferenza: «mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito…», cioè facevano le cose quotidiane necessarie per la vita (mangiare e generare), ma lo facevano senza accorgersi di come la storia nella quale vivevano stesse precipitando verso un abisso. Il loro dramma fu la noncuranza di Dio, l’essere accecati dall’indifferenza e dall’orgoglio presuntuoso. Queste sono proprio le attitudini più contrarie all’Avvento: l’indifferenza, l’orgoglio, la presunzione di bastare a sé stessi e di essere al riparo da ogni compromettente domanda di senso. Attitudini contrarie, all’Avvento perché l’Avvento presuppone stupore, umiltà, attesa di Colui che solo può compiere la storia.
Non può vivere l’Avvento chi crede di bastare a sé stesso, chi crede che l’orizzonte della vita sia solo il “fare” per un “utile”; non può essere uomo o donna d’Avvento chi reputa ridicola e superflua ogni domanda sul senso; non può essere uomo o donna d’Avvento chi non sa sognare, lasciando sempre una porta aperta all’oltre. L’Avvento non spinge a stare con la testa tra le nuvole, ma esige che si sia capaci di guardare “oltre”, credendo che l’oggi non è chiuso in sé. Vigilare è allora lasciarsi giudicare dall’Evangelo, dalla sua forza, dal suo irrompere al di là di ogni attesa e previsione. Vigilare è essere disposti a lasciarsi sorprendere da Dio, vivendo il presente pienamente e senza sconti.