Home Chiesa e Diocesi Commento al Vangelo della terza domenica di Avvento: “Sei tu colui che...

Commento al Vangelo della terza domenica di Avvento: “Sei tu colui che deve venire?”, l’attesa di Giovanni Battista

Commento al Vangelo della III domenica di Avvento

1659
0

Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)
di Padre Gianpiero Tavolaro

Terza domenica di Avvento
Is 35,1-6a.8a.10; Sal 145; Gc 5 7-10; Mt 11,2-11

Chi sa volgere il proprio sguardo a Colui che viene, chi sa cogliere veramente l’imminenza della venuta del Signore è capace di trasformare la propria esistenza in un’attesa gioiosa, perché sa scorgere il Suo irrompere umile e quotidiano nell’oggi, in una presenza discreta, ma efficace. La gioia alla quale il cristiano è invitato sta proprio in questo: nel non rimanere prigioniero di un oggi senza domani; nel non restare schiacciato sotto il peso della storia, che pare voglia “castrare” i propri sogni! Chi è uomo dell’Avvento vive la libertà dell’attesa dell’ “oltre” e si fida dell’impensabile.

Giovanni di Paolo, San Giovanni Battista in prigione, visitato da due discepoli, 1454, Chicago, Art Museum

Icona paradossale di questa gioia è Giovanni Battista in carcere. È paradossale, infatti, che il richiamo alla gioia avvenga attraverso chi sta vivendo una sua crisi profonda: l’uomo del deserto, l’uomo dalla parola potente e sferzante, capace di riconoscere e denunciare i sentieri di morte nei quali resta imbrigliato l’uomo, in balia del suo peccato, è capace di mettersi in dubbio… e ora, alla fine della sua vita e della sua missione, egli non grida più, ma domanda. È tutta qui la sua grandezza, la potenza della sua profezia: Giovanni è l’uomo non chiuso in sé stesso, neppure nelle parole che ha annunziato e che egli sa essere “da Dio”.
Giovanni è profeta, perché vuole leggere la storia a partire da Dio e Dio è più grande perfino delle sue stesse parole; è profeta perché umilmente domanda a un altro: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Nella crisi, lo sguardo di Giovanni resta puntato all’“oltre”, al Veniente: egli è disposto ancora ad attendere.
È questo il modo più efficace di indicare una via: non credere all’eternità della notte, non accontentarsi di ciò che è riferito, ma chiedere a Gesù di leggere la propria storia e di proferire una parola definitiva, anche sulla propria identità. Gesù, in realtà, non risponde a Giovanni in modo “diretto” ed esplicito, ma lo fa con una citazione dalla Scrittura, lasciando a Giovanni uno spazio di libertà, interamente giocato sulla disponibilità a saper leggere attraverso la “lente” della Scrittura!

Gesù non può sottrarre Giovanni a questa fatica, perché in questo consiste la fatica del credere! «I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella»: ai discepoli inviati da Giovanni, Gesù fa capire che è nel saper mettere in relazione le sue opere e le parole della Scrittura, che si comprende chi egli è davvero; ed è in relazione a lui che ciascuno può comprendere la propria profonda identità. Gesù, con la sua parola e con le sue opere, è l’annunzio di un evangelo che irrompe nella storia, attraverso vie e modalità nuove e imprevedibili, che solo chi sia capace di spogliarsi di precomprensioni e di “religione” riesce a coglie nella fede.

Quando si accoglie una logica altra, quella di Dio, allora si comprende che proprio Lui è il Veniente: Egli è il Veniente dal mondo di Dio e non dal mondo degli uomini! Gesù chiede, di fronte a questa alterità, la capacità di non scandalizzarsi, cioè di non inciampare; anzi, su questo egli pronuncia una “beatitudine”: «e beato chi non si scandalizza di me».

Nell’elogio del Battista, che Gesù tesse subito dopo la partenza dei messaggeri, viene fuori proprio questa alterità, che tocca e trasforma chi da essa si lascia convertire, come Giovanni: di lui Gesù dice che «tra i nati di donna non è sorto uno più grande», perché in Giovanni tutte le attese sono concentrate, così che egli è stato la parola definitiva prima del compimento; ma anche per la sua umiltà che non ha temuto di divenire domanda. Gesù, però, aggiunge anche che «il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui»: con queste parole, egli sta parlando di sé stesso e sta ancora rispondendo alla domanda del Battista sulla sua identità («Sei tu colui che deve venire…?»).

Egli, Gesù, è realmente il Veniente ed è il più piccolo, perché si è incamminato sulla via della spoliazione che giungerà alla croce. È Gesù il più grande, perché si è fatto il più piccolo, in quanto è colui che davvero si è umiliato e perciò verrà esaltato (cf. Mt 23,12). Egli è davvero colui che ha avuto il coraggio di perdere la propria vita e perciò la ritrova (cf. Mt 10,39). Giovanni riceve, così, l’annunzio di un evangelo che fa esultare di gioia per la vicinanza “accessibile” di Dio: con lui, la comunità credente è invitata a rallegrarsi, tendendo le orecchie del cuore alla voce dello Sposo che viene (cf. Gv 3,29).

 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.